ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

05/03/2024 | Press release | Distributed by Public on 05/03/2024 10:29

USA2024: Campus vs Biden

Le proteste che si stanno diffondendo a macchia d'olio nei campus universitari degli Stati Uniti hanno fatto ufficialmente irruzione nella campagna elettorale americana. I sit-in di solidarietà con la Striscia di Gaza, che dopo sei mesi di conflitto conta più di 34mila morti accertati, sono stati per lo più pacifici. Ma in alcuni casi, come alla Columbia University di New York o all'Università della California a Los Angeles, la decisione delle autorità universitarie di far intervenire la polizia o l'assalto da parte di manifestanti filo-israeliani hanno provocato disordini e violenze le cui immagini hanno scioccato l'opinione pubblica facendo il giro del web. Le manifestazioni sono diventate un palcoscenico di cui politici di entrambi gli schieramenti hanno approfittato per esporre le profonde fratture ideologiche e i rischi di una democrazia in affanno. Nessun presidente - e di certo nessuno che intenda chiedere agli americani di concedergli un secondo mandato tra pochi mesi - può permettersi di ignorare un fenomeno tanto evidente quanto divisivo. Un intervento di Joe Biden non era più rinviabile e così, in un discorso pronunciato ieri dalla Casa Bianca, il presidente statunitense ha detto che "le proteste pacifiche vanno tutelate, ma il vandalismo, l'antisemitismo e le proteste violente no". Argomento di buon senso, ma che non è detto riesca a convincere giovani e meno giovani che, soprattutto tra i democratici, sono furiosi per il sostegno fin qui garantito dall'attuale amministrazione al premier israeliano Benjamin Netanyahu e all'assalto che sta conducendo contro l'enclave palestinese. Il presidente cercherà di conciliare le tensioni politiche in un discorso sull'antisemitismo che ha in programma presso il Museo dell'Olocausto a Washington, DC, la prossima settimana. Ma il rischio è che le sue parole suonino vuote alle orecchie di una fascia di elettori giovani e progressisti di cui ha un disperato bisogno negli stati chiave che decideranno le elezioni. Biden si trova a camminare su una linea sottile: se è vero che in alcuni campus sono stati segnalati episodi di incitamento all'odio, lo è anche il fatto che molti studenti ebrei sono coinvolti nelle proteste e che non si può definire antisemitismo criticare il modo in cui Israele sta portando avanti la sua guerra a Gaza. La posta in gioco però, è tale che ottenere un cessate il fuoco tra israeliani e Hamas è diventato cruciale anche per gli interessi della Casa Bianca. Eppure, finora gli sforzi degli Stati Uniti per rallentare lo spargimento di sangue sono falliti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto ogni tentativo di mitigare la ferocia delle operazioni israeliane e se dovesse sferrare l'assalto pianificato nella città di Rafah, Biden si troverà in una posizione ancora più pericolosa. Che non sia la politica estera a decidere l'esito delle elezioni negli Stati Uniti è una convinzione piuttosto diffusa tra analisti e commentatori. Ma se le proteste non si disperderanno con l'arrivo delle vacanze estive e la guerra non dovesse finire prima del nuovo semestre autunnale - in concomitanza con le ultime settimane di campagna - potrebbe rivelarsi una convinzione sbagliata.

Da un'aula all'altra

L'ex presidente Donald Trump sostiene che le proteste nei campus sono il sintomo di una nazione che sta precipitando nell'anarchia e nel caos, masotto sotto gongola. Le vicende giudiziarie in cui è coinvolto e che avrebbero potuto danneggiarlo in campagna elettorale sono state oscurate dalle rivolte universitarie. Nelle scorse settimane, infatti ha preso il via il primo e forse anche l'unico processo che riuscirà a tenersi prima del voto, che lo vede accusato di aver pagato con soldi destinati alla campagna elettorale del 2016, la pornostar Stormy Daniels e l'ex-coniglietta di Playboy Karen McDougal. Sempre nei giorni scorsi i riflettori si sono accesi anche sulla Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sull'immunità giudiziaria del tycoon nel processo per aver tentato di sovvertire l'esito delle elezioni presidenziali del 2020. Il verdetto dovrebbe arrivare verso la fine di giugno.

Ma quali sono i possibili scenari? Se l'ex-presidente dovesse ottenere l'immunità (cosa poco probabile secondo numerosi esperti) il caso verrebbe archiviato. Ma se così non fosse, andrebbe a processo. L'ipotesi più plausibile però è un'altra: quella in cui la Corte chiede a tribunali di grado inferiore di esprimersi separando la condotta di Trump come presidente da quella di privato cittadino. In questo caso Trump verrebbe processato solo per quest'ultima.

Gli altri candidati

Nonostante Trump e Biden siano praticamente certi ormai di ottenere le nomination dei rispettivi partiti, ci sono altri candidati che continuano a restare in corsa. Tra questi, il candidato più in vista è Robert Fitzgerald Kennedy Jr., 70 anni, figlio di Bob Kennedy e nipote dell'ex presidente John, avvocato specializzato in temi ambientali. Uscito dalle fila dei Dem per correre come indipendente, Kennedy ha incentrato la sua campagna elettorale sulle teorie cospirazioniste sui vaccini e Covid-19, oltre a promuovere politiche contro l'immigrazione e a criticare il supporto statunitense all'Ucraina. Anche se non ha nessuna possibilità di vincere, la sua candidatura può comunque avere un impatto significativo sul voto: se in un primo momento sembrava minacciare principalmente i Dem che temevano potesse sottrarre voti preziosi negli stati in bilico (come il Wisconsin), oggi alcuni suoi cavalli di battaglia (come lo scetticismo nei confronti dei vaccini) potrebbero attrarre la base più estremista dell'elettorato MAGA. Lo stesso Kennedy nei comizi si rivolge espressamente agli elettori di Trump e la sua presenza è sempre più regolare in emittenti televisive vicine all'ex-presidente come Fox News e Newsmax. Intanto, tra le fila del partito democratico restano in corsa ancora due candidati: Marianne Williamson, scrittrice ed ex-advisor spirituale di Oprah Winfrey, già candidata nel 2020 e l'imprenditore Jason Palmer, che ha avuto i suoi 5 minuti di celebrità per aver ottenuto lo stesso numero di delegati di Biden nei caucus delle Samoa Americane. Pur non avendo nessuna chance, la loro corsa ha un significato simbolico: dimostrare, restando all'interno del partito, l'inadeguatezza di Biden a ricoprire un secondo mandato.

TikTok, budget e finanziamenti

Ad alimentare le rivolte nei campus, anche l'approvazione di un pacchetto legislativo che include 60 miliardi di dollari di aiuti per l'Ucraina e oltre 26 miliardi per Israele e per aiuti umanitari alle zone in conflitto (inclusa Gaza), insieme a una disposizione che potrebbe portare alla messa al bando di Tik Tok. L'app, molto diffusa tra i giovani e di proprietà della società cinese ByteDance, è al centro delle preoccupazioni dei politici americani per la sicurezza nazionale. I legislatori infatti temono che la piattaforma non protegga adeguatamente i dati degli utenti americani e che la Cina possa usare il social media per influenzare la politica del paese. La società madre di Tiktok avrà circa nove mesi per decidere se vendere la piattaforma o andare incontro ad un divieto che renderà l'app inutilizzabile per chi è sul suolo americano. L'approvazione del pacchetto - al centro di una contesa interna al GOP che lo ha tenuto in ostaggio alla Camera per mesi - ha però mostrato una chiara divisione interna ai repubblicani anche se nei giorni precedenti al voto lo speaker alla Camera Mike Johnson aveva incassato da Trump un sostanziale via libera, dopo che sulla sua testa era comparsa la minaccia una mozione di sfiducia presentata dalla trumpiana Marjorie Taylor Greene. Lo speaker conserva il posto ma è "un'anatra zoppa" ha tuonato Greene dopo il voto alla Camera. Segno che la resa dei conti interna al partito è solo rimandata.

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