ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

05/06/2024 | Press release | Distributed by Public on 05/06/2024 11:07

Oceani: è corsa al nuovo Eldorado

Nel corso della storia luogo di separazione, soprattutto dopo la scoperta dell'America, gli Oceani sono progressivamente diventati vie di comunicazione fondamentali e luogo facilitatore dei commerci. Attraverso il progresso, inoltre, gli spazi sottomarini si sono rivelati ben presto bacini fondamentali per lo sfruttamento delle risorse biologiche e minerarie nonché per le comunicazioni digitali.

Nel complesso, gli Oceani rivestono una funzione centrale nel quadro delle economie dei Paesi costieri, fungendo da connettori per gli scambi commerciali internazionali e per lo sviluppo di un'economia aperta. Infine, essi sono cruciali nel quadro delle politiche climatiche e di sostenibilità , svolgendo un ruolo di primaria importanza nella regolazione della temperatura terrestre e permettendo lo sviluppo di ecosistemi critici per l'economia marittima e costiera. Secondo l'OCSE, il valore aggiunto generato dall'industria oceanica a livello globale potrebbe raddoppiare, passando da 1.500 miliardi di dollari nel 2010 a 3.000 miliardi di dollari nel 2030. In particolare, l'acquacoltura marina, l'estrazione di minerali critici, la pesca, l'eolico offshore e le attività portuali sono state considerate potenzialmente in grado di generare la maggiore crescita nell'economia degli Oceani.

Le autostrade del commercio internazionale

L'imprescindibilità degli Oceani per la vita economica del Pianeta appare evidente già solo prendendo un singolo dato. Più dell'80% del traffico commerciale globale transita attraverso vie marittime e, in particolare, attraverso circa 10 fondamentali chokepoints, colli di bottiglia del commercio internazionale, mediante cui è convogliata la quasi totalità del commercio marittimo internazionale. Quattro sono cruciali e il loro blocco può paralizzare o creare distorsioni significative per l'intero funzionamento dell'economia internazionale.

In primo luogo, gli Stretti di Malacca e Taiwan. Lo Stretto di Malacca, attraverso Singapore, Malesia e Indonesia è la via di comunicazione marittima più veloce tra Asia, Medio Oriente ed Europa e assicura il passaggio del 30% del commercio globale, di cui i due terzi del commercio marittimo cinese e l'80% del suo import di petrolio. Il Canale di Panama, da cui transita "solamente" il 5% del traffico marittimo globale, assicura tuttavia più del 40% del traffico container USA e il 45% del commercio tra la costa orientale degli Stati Uniti e l'Asia orientale. A causa di una persistente siccità, i flussi lungo il Canale si sono ridotti di circa il 50%, con importanti ripercussioni economiche e commerciali. Lo Stretto di Hormuz, con l'Iran a Nord ed Emirati Arabi Uniti e Oman a Sud, è particolarmente importante per lo scambio dei prodotti energetici, considerando che il 20-30% dei flussi di petrolio mondiale passa da questo stretto. Le recenti tensioni tra Iran e Israele, culminate nel sequestro da parte di Teheran della nave porta-container Msc Aries, considerata legata allo Stato ebraico, pongono timori per possibili blocchi dello stretto in caso di future escalations delle tensioni.

Infine, lo Stretto di Bab El-Mandeb e il Canale di Suez normalmente assicurano il 12% del traffico commerciale marittimo globale, il 22% del traffico container, nonché circa i due terzi dell'import e un terzo dell'export italiano per via marittima. Sin dalla fine del 2023, gli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi a navi occidentali transitanti per lo stretto di Bab El-Mandeb hanno determinato una forte riduzione dei flussi attraverso il Canale di Suez, di circa il 40%. Ciò si è tradotto nella deviazione da parte delle navi portacontainer verso il Capo di Buona Speranza, con la circumnavigazione dell'Africa che inevitabilmente ha provocato una crescita dei tempi di percorrenza (con 10/15 giorni in più) e dei costi complessivi, compresi quelli assicurativi. Un container da 40 piedi sulla rotta Shangai-Genova costa oggi 3.700 dollari, contro i circa 1.400 dollari di fine novembre. Si tratta di valori ben inferiori rispetto ai valori raggiunti in passato in occasione della crisi pandemica, quando un container sulla stessa tratta era arrivato a costare fino a 14.000 dollari. Tuttavia, la perdurante situazione di insicurezza, la sospensione della produzione di alcune imprese a causa della carenza di forniture di componentistica, nonché il varo delle missioni navali anglo-americana Prosperity Guardian ed europea Aspides, segnalano la centralità di queste vie marittime per la sicurezza economica internazionale.

Spina dorsale del mondo digitale (e della connettività energetica)

Al di sotto delle acque internazionali, si dispiega una rete di cavi sottomarini cruciali per la connettività internazionale. Attraverso più di 750 cavi passa circa più del 95% delle comunicazioni internet a livello internazionale, e sono assicurate transazioni finanziarie pari a circa 10 trilioni di dollari ogni giorno. Proprio l'importanza di tali linee di comunicazione, che assicurano i collegamenti internet e digitali tra i principali continenti del pianeta, hanno indotto ad adottare un approccio di sicurezza fondato sulla ridondanza: più cavi, infatti, connettono i maggiori poli economici internazionali, assicurando la continuità delle comunicazioni anche in caso di rottura, sabotaggio, atto ostile o di guerra. I recenti eventi nel Mar Rosso sono un esempio del pericolo per le comunicazioni globali. Dal Canale di Suez e dallo Stretto di Bab El-Mandeb passano 16 cavi sottomarini, di cui tre sono stati danneggiati probabilmente dalle azioni Houthi o da navi in affondamento a causa degli attacchi dei miliziani yemeniti. Ciò non ha determinato un blocco delle comunicazioni, poiché molti altri cavi rimanevano funzionanti, ma in alcuni momenti ha rallentato la velocità di trasmissione dei dati, con potenziali danni economici considerando che dal Mar Rosso passano circa il 17% dei dati globali.

Fino al 2008, l'industria dei cavi sottomarini digitali era un monopolio delle aziende delle economie avanzate: la SubCom americana, la NEC Corporation giapponese e la francese Alcatel Submarine Networks, Inc. In seguito, oltre all'aumento vertiginoso degli investimenti nei cavi sottomarini da parte di giganti tecnologici internazionali come Meta, Google e Amazon, la cinese Huawei Marine Networks Co Ltd ha fatto il suo ingresso nel mercato e la corsa ai cavi sottomarini è progressivamente diventata una questione di geopolitica e sicurezza. Di recente, nel quadro delle tensioni crescenti tra Washington e Pechino, gli Stati Uniti hanno vietato alle aziende private - in particolare Google, Meta e Amazon - di costruire cavi transoceanici che colleghino gli Stati Uniti alla Cina, anche indirettamente, citando problemi di sicurezza nazionale e il rischio di spionaggio. Il divieto riguardava anche il progetto Pacific Light Cable Network, che avrebbe dovuto collegare gli Stati Uniti a Hong Kong. In seguito alla decisione di Washington di tagliare qualsiasi collegamento con Hong Kong, il cavo - ribattezzato Cap-1 - è stato riconvertito per trasmettere dati dagli Stati Uniti a Taiwan e alle Filippine.

Questo esempio dimostra come funziona il disaccoppiamento economico e industriale al di sotto della superficie del mare, con i rischi evidenti di dividere il mercato dei cavi sottomarini in blocchi. Grazie a una politica assertiva gli USA sono riusciti a impedire a Pechino di diventare un attore dominante nel mercato globale dei cavi sottomarini. Secondo i dati più recenti, la HMN Technologies ha fornito o si appresta a fornire attrezzature solo per il 10% di tutti i cavi globali esistenti o pianificati, vanificando così le speranze di Pechino di affermarsi come il più grande operatore mondiale. All'inizio del 2023, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato un disegno di legge per proteggere la superiorità americana nelle capacità di cablaggio sottomarino, con particolare riferimento agli obiettivi economici e militari cinesi in questo campo. La legge sul controllo dei cavi sottomarini richiede al governo degli Stati Uniti di adottare una strategia che limiti la capacità della Cina di accedere a beni e tecnologie che potrebbero essere utilizzati per la produzione di cavi. In Europa, invece, la Commissione europea sta elaborando dei piani per investire in progetti di cavi d'interesse europeo, che dovrebbero contribuire a ridurre la dipendenza dell'UE da connessioni internet sottomarine straniere e, anche attraverso il Digital Networks Act, incoraggiando gli operatori di telecomunicazione a crescere di dimensioni e a fondersi.

Ma non si tratta solo di cavi dati. I mari ospitano nei loro fondali innumerevoli connessioni anche per il trasporto di energia. Si è vista la centralità delle infrastrutture energetiche sottomarine per gli approvvigionamenti di gas tra Russia ed Europa prima della guerra russo-ucraina attraverso il gasdotto Nord Stream 1, il quale riforniva il 14% dei consumi europei. L'esplosione sottomarina del settembre 2022 ha danneggiato sia il Nord Stream 1 sia il Nord Stream 2 (mai entrato in funzione, sebbene la sua costruzione fosse ultimata, a causa del conflitto in corso), rivelando la fragilità di tali infrastrutture e i rischi per la sicurezza energetica europea. Nell'intento di assicurare una maggiore protezione alle infrastrutture critiche sottomarine europee, l'UE e la NATO hanno lanciato a marzo 2023 una task force sulla resilienza delle infrastrutture critiche, con un potenziamento dei pattugliamenti nelle aree di presenza di infrastrutture critiche sottomarine, sia nei Mari del Nord, sia nel Mediterraneo e negli oceani.

A livello internazionale, intanto, si moltiplicano i progetti di connettività energetica, soprattutto in un'ottica di sostenibilità . La Gran Bretagna ha recentemente annunciato un progetto di un cavo per il trasporto dell'energia elettrica dagli Stati Uniti, con una capacità fino a 3,6 GWh, pari a diverse centrali nucleari. La costruzione del cavo sarebbe possibile grazie all'innovazione tecnologica e alla conseguente riduzione dei costi, permettendo di collegare due punti sulla terraferma a distanza di più di 3.000 km e con profondità fino ai 200 metri. Dall'altra parte del mondo, nell'Oceano indiano, i Paesi del G7, a margine del Vertice G20 di New Delhi nel 2023 e nel quadro della Partnership for Global Infrastructure Investment (PGII), hanno annunciato la costruzione di un corridoio infrastrutturale tra India, Medio Oriente ed Europa (IMEC). Accanto alla dimensione di trasporto commerciale marittimo e terrestre, il progetto si compone anche di una pipeline sottomarina per il trasporto di idrogeno verde, un cavo sottomarino per la connettività elettrica e, infine, uno per la trasmissione di dati. Ciò rafforzerà in modo sostanziale la connettività tra India, Medio Oriente ed Europa, integrando altresì i mercati energetici dei Paesi attraversati. Infine, l'Europa, nel quadro del progetto di connettività internazionale Global Gateway, intende rafforzare le proprie connessioni con il resto del mondo, in particolare attraverso cavi sottomarini per la connessione digitale ed energetica con America Latina e Africa.

Risorse sottomarine: il nuovo Eldorado della transizione green?

Nel corso degli ultimi anni, la corsa per la leadership della transizione energetica ha spinto le maggiori potenze internazionali a una nuova corsa verso il controllo e lo sfruttamento dei minerali critici necessari alla transizione energetica, come litio, cobalto, terre rare ma anche rame e manganese. Questa corsa non si limita alla terraferma, ma sempre più coinvolgerà le zone economiche esclusive e le piattaforme continentali, così come le acque profonde, in particolare le porzioni di mare internazionale. Queste ultime aree sono governate dall'Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), istituita nel 1994 con l'entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. All'inizio di luglio del 2023, una scadenza delle Nazioni Unite per concordare le norme sull'estrazione mineraria in acque profonde è scaduta senza che venisse raggiunto un accordo.

Ad oggi secondo i regolamenti dell'ISA, sebbene le compagnie abbiano il diritto di esplorare le acque internazionali alla ricerca di minerali, l'estrazione di minerali in acque profonde è ancora vietata al di fuori delle zone economiche esclusive (ZEE), al fine di proteggere il patrimonio comune dell'umanità. Ma ora, il limbo che ne deriva potrebbe dare ai Paesi la possibilità di richiedere licenze minerarie. L'ISA sembra infatti vicina a varare un proprio sistema di permessi per l'estrazione, sebbene il recente vertice in Jamaica non abbia prodotto risultati concreti. In questo contesto, la corsa per assicurarsi l'approvvigionamento di minerali critici legati alla transizione verde, così come i progressi delle tecnologie estrattive, potrebbero presto trasformare gli oceani nella prossima frontiera di una corsa geopolitica e industriale. Ad oggi l'ISA ha rilasciato 31 licenze per l'esplorazione dei fondali oceanici, di cui 5 alla Cina, 4 alla Russia e 2 all'India.

L'estrazione di minerali dal mare potrebbe espandere la produzione di minerali critici, far calare i prezzi e ridurre la dipendenza da Paesi - come la Cina - che controllano i mercati delle materie prime critiche. Tuttavia, questo risultato è controverso, perché la Cina potrebbe anche espandere il proprio controllo sull'estrazione mineraria globale: infatti, Pechino detiene la maggioranza di permessi all'esplorazione rilasciati dalla Autorità Internazionale dei Fondali Marini. Inoltre, lo sfruttamento dei minerali marini solleva preoccupazioni sulla sostenibilità, dal momento che molti ecosistemi fragili potrebbero essere seriamente danneggiati dalle operazioni di estrazione.

Ma dove si concentrano queste risorse? Anche se geograficamente diffusa, un'area dell'Oceano Pacifico conosciuta come nota come Zona di Clarion-Clipperton (CCZ) è particolarmente promettente per l'estrazione mineraria sottomarina e potrebbe rivelare trilioni di "noduli di minerali", ricchi di nichel, cobalto, manganese e rame, tutti elementi di interesse per i produttori di batterie. Quando si parla di strategie nazionali, l'India ha annunciato di essere desiderosa di procedere all'esplorazione nell'Oceano Indiano, nel tentativo di diventare autosufficiente in particolare in nichel e cobalto. New Delhi già detiene due licenze di esplorazione dall'ISA, ma ne ha richieste ulteriori due al fine di assumere una posizione di leadership nel futuro sfruttamento. In Europa, la Norvegia ha approvato un piano per diventare il primo Paese a estrarre metalli per batterie dai suoi fondali marini, sfruttando un'area dell'Oceano Artico che coinvolge in parte l'arcipelago delle Svalbard, su cui la Norvegia esercita una particolare forma di sovranità.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la situazione risulta più complessa. Washington non ha infatti mai ratificato la Convenzione UNCLOS del 1982 a causa della sua opposizione storica alle regole ivi previste per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse dell'Alto mare. La mancata ratifica impedirebbe alle aziende americane di partecipare allo sfruttamento futuro di tali risorse nell'Alto mare, nonché alle decisioni sulla governance dell'ISA, perdendo il treno di un'industria nascente. Tutto questo in un quadro in cui Cina e Russia hanno ottenuto insieme nove permessi per l'esplorazione, anche in aree storicamente rivendicate dagli Stati Uniti. Si moltiplicano quindi le pressioni interne americane per una ratifica, attraverso cui gli Stati Uniti potrebbero rafforzare la sicurezza dell'approvvigionamento minerario, entrare nei mercati delle profondità marine e migliorare la sicurezza nazionale. Nel frattempo, Washington ha rivendicato una porzione di piattaforma continentale prima considerata alto mare pari a circa 1 milione di chilometri quadrati, soprattutto in Alaska e nella costa orientale USA.

La necessità di regole condivise

L'incremento delle potenzialità degli Oceani, grazie anche allo sviluppo tecnologico, si traduce in un sempre maggiore interesse delle grandi Potenze per il loro controllo. Il diritto internazionale detta in modo chiaro le regole e i limiti della sovranità degli Stati incoraggiando, negli spazi internazionali, un approccio basato sulla cooperazione. Tuttavia, nell'attuale contesto di crescente competizione geopolitica e industriale, si moltiplicano sempre più le spinte competitive che potrebbero rapidamente portare gli oceani a diventare un luogo di scontro. Ma anche aprire nuove opportunità di sviluppo per tutti.