ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

04/19/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/19/2024 05:29

Il clima è un diritto umano? La storica sentenza della CEDU

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso nella tarda mattina del 9 aprile le attese pronunce su tre casi, tutte inerenti l'obbligo degli Stati convocati in giudizio di adottare provvedimenti idonei al contrasto del cambiamento climatico.

Il primo, Verein KlimaSeniorinnen Schweize altri contro Svizzera,[1] riguarda una denuncia di quattro donne e dell'associazione svizzera "Anziane per il clima", i cui membri sono 2.500 donne ultra-sessantacinquenni preoccupate per le conseguenze del riscaldamento globale sulle loro condizioni di vita e di salute. La seconda è relativa alla causa Carême contro la Francia,[2] in cui l'ex sindaco del comune di Grande-Synthe, attualmente eurodeputato, accusava la Francia di non aver adottato misure sufficienti per scongiurare il rischio che la cittadina venga sommersa, nei prossimi decenni, dalle acque del Mare del Nord. Infine, la terza sentenza riguarda il procedimento Duarte Agostinho e altri contro Portogallo e 32 altri Stati[3](cioè tutti e 27 gli Stati membri dell'Unione europea più Norvegia, Svizzera, Russia, Gran Bretagna e Turchia) frutto del ricorso di sei giovani portoghesi che lamentavano gli effetti -- presenti e futuri - del cambiamento climatico, ritenendo che gli Stati convenuti fossero responsabili di questa situazione, in particolare all'esito dell'incendio che, nel 2017, aveva devastato il bosco di Pedrógrão Grande provocando la morte di 64 persone, quando i ricorrenti avevano tutti fra i 10 e i 23 anni.

Le sezioni della Corte, a cui i casi erano stati assegnati in un primo momento, hanno rinunciato alla giurisdizione a favore della Grande Camera, composta da 17 giudici, che, sebbene non abbia riunito le tre cause, le ha però decise in sincrono in via prioritaria. Questo approccio dà fin da subito l'idea sia del fil rouge che lega questi ricorsi, posto che in fin dei conti tutti e tre i ricorsi miravano a stigmatizzare il comportamento inerte o omissivo degli Stati convenuti quanto all'adozione di misure efficaci ed efficienti volte a regolamentare l'emissione di gas climalteranti, sia della loro importanza, alla luce del fatto che le sezioni della Corte di Strasburgo devono abdicare della Grande Camera quando una causa pendente dinanzi a esse sollevi una questione grave relativa all'interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli (art. 72 del Regolamento)[4].

Nel primo caso, la Corte riconosce all'associazione elvetica "Anziane per il clima" il diritto di presentare un reclamo (locus standi) in merito alle minacce derivanti dal cambiamento climatico, negandolo però alle quattro ricorrenti individuali. La pronuncia è estremamente rilevante (anche) perché va ricordato che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) non ammette reclami in cui ci si lamenti in astratto di norme di legge o prassi amministrative che non incidano, in modo diretto o indiretto, o anche potenziale, sui diritti del soggetto che presenta il ricorso (actio popularis). Purtuttavia, nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il cambiamento climatico è una questione di interesse comune per l'umanità e che la necessità di promuovere la condivisione degli oneri intergenerazionali porti a considerare il ricorso a organismi collettivi quale unico mezzo accessibile per difendere efficacemente interessi particolari in questo contesto. La Corte di Strasburgo ha dunque stabilito che la Svizzera non ha adempiuto agli obblighi ("positivi") sanciti nell'articolo 8 CEDU, norma che deve essere considerata come comprendente il diritto degli individui a un'effettiva protezione da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita. Se dunque le azioni statali si rilevano inadeguate per combattere il cambiamento climatico che aggravano i rischi di conseguenze dannose e le conseguenti minacce per il godimento dei diritti umani - minacce già riconosciute dai governi di tutto il mondo e confermate dalle conoscenze scientifiche - si pone in essere un illecito omissivo, ben più difficile da accertare: è un gran successo quindi che la Corte lo faccia individuando il rapporto di causalità fra l'inazione dello Stato relativa alla disciplina dell'emissione di gas climalteranti e i danni, o il rischio di danni, con specifico riguardo a una categorie di persone, cioè donne anziane. Viceversa, le quattro domande individuali non sono state accolte perché le ricorrenti (una delle quali peraltro venuta a mancare pendente il giudizio) non sono riuscite a dimostrare la loro qualifica di "vittima", ossia di aver subìto, direttamente e personalmente, gli effetti delle omissioni contestate.

Ed è proprio sulla nozione di vittima che si basa il rigetto nel caso Carême contro la Francia in quanto la Corte ha ritenuto che l'ex sindaco di Grande Synthe non ne avesse lo status, perché non è più residente in quel comune, né ha legami sufficientemente rilevanti con la città, non vivendo attualmente neppure in Francia. L'impatto sull'elaborazione di un "diritto al clima" di questo rigetto, va temperato alla luce del fatto che, in verità, nel 2019 il comune di Grande-Synthe, che insiste in una zona considerata ad altissimo rischio di esposizione al mutamento climatico, e Damien Carême, fino ad aprile 2019 sindaco della cittadina, avevano chiesto al Consiglio di Stato di annullare il rifiuto del governo di adottare misure aggiuntive per raggiungere l'obiettivo dell'Accordo di Parigi, ossia di ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030. Se nella sua prima decisione, del 19 novembre 2020,[5] il Consiglio di Stato, pur dichiarando ammissibile il ricorso presentato dal comune di Grande-Synthe, consentendo altresì gli interventi di Parigi, Grenoble e di alcune organizzazioni non governative, aveva tuttavia respinto la domanda individuale, successivamente, nella sua pronuncia nel merito, il 1° luglio 2021,[6] il Consiglio di Stato si è pronunciato dando ragione ai ricorrenti. Nella sua sentenza, il supremo tribunale amministrativo francese ha osservato che il calo delle emissioni, se nel 2019 era troppo ridotto, non era significativo nel 2020, data la contrazione dell'attività economica all'esito della crisi sanitaria pandemica, sicché il rispetto della road map di riduzione progressiva di gas climalteranti, fissata al -12% per il periodo 2024-2028, non sembrava essere (più) realizzabile a meno che non venissero adottate rapidamente nuove e ben più consistenti misure addizionali, per (cercare di) raggiungere l'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 40% entro il 2030. In altri termini, il rigetto della Corte europea dei diritti dell'uomo del ricorso individuale dell'ex-sindaco di Grande Synthe non è così "grave" come può di primo acchito può apparire, visto che in verità le vie di ricorso interne avevano avuto modo di rispondere positivamente alle doglianze del piccolo comune costiero, quanto al comportamento inerte dello Stato francese.

Ed è a sua volta sul mancato esperimento dei ricorsi statuali che si basa la decisione della Corte di Strasburgo, infine, nel caso Duarte Agostinho e altri contro Portogallo e 32 altri Stati, forse il ricorso più noto, anche per la numerosità degli Stati convenuti, fra i quali il nostro. La Corte non è entrata nel merito della posizione rivendicata dai ricorrenti in quanto ha ritenuto il ricorso irricevibile perché i sei giovani portoghesi non avevano utilizzato le vie giudiziarie e amministrative disponibili in Portogallo per presentare le loro denunce e non avevano quindi esaurito infruttuosamente tali mezzi di ricorso interni. Va infatti ricordato che il meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione assume un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionalidi tutela dei diritti dell'uomo. In effetti, questo caso è rilevante non già per il fatto che la Corte non abbia accettato il ricorso per saltum (ossia senza aver esperito i procedimenti giudiziari interni), perché questa causa di inammissibilità è proceduralmente di prammatica, bensì in relazione al negare la sussistenza della giurisdizione extraterritoriale, posto che, come accennato, il Paese convenuto non era solamente il Portogallo, ma (anche) altri 32 Stati. Questo profilo si basa sulla considerazione che la Corte di Strasburgo nega che, nel caso di specie, ricorra la sommatoria dei due elementi da cui emerge (eventualmente) la giurisdizione extraterritoriale: il fattore spaziale del controllo effettivo di uno Stato su un'area (criterio ratione loci) e la componente dell'autorità e controllo (di organi) dello Stato su una comunità umana (criterio ratione personarum). In considerazione altresì dell'impossibilità di determinare il nesso causale fra l'attribuzione diretta delle emissioni/ovvero della loro mancata riduzione e specifici danni, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha rigettato l'esistenza di un controllo statale sugli effetti dannosi del cambiamento climatico in altri Stati, in ciò mortificando di fatto la dimensione globale del problema.

In sintesi dunque, i tre verdetti sono frutto di un prisma interpretativo del paradigma dei diritti umani sancito nella Convenzione europea che va in un'unica direzione: quella della rilevanza delle cause climatiche[7] e della indifferibilità delle azioni statali volte a contrastarne gli esiziali esiti, in un'ottica che metta a sistema non solamente le istanze delle generazioni future ma anche di quelle attuali, posto che il cambiamento climatico impatti sulle persone umane con variegate nuances di effetti negativi al di là delle mere differenze anagrafiche. Questo esito è plateale nel caso contro la Svizzera, dato l'accoglimento del ricorso, ma si può rilevare anche in quello dell'ex sindaco di Grande Synthe, perché, come ricordato, il Consiglio di Stato francese aveva accolto il ricorso del piccolo comune costiero, accordandogli un risarcimento oltre a ingiungere allo Stato di adottare ulteriori misure volte al contrasto del cambiamento climatico, nonché, infine, nel caso dei ragazzi portoghesi perché aver detto che il ricorso è - oggi - irricevibile nei confronti del Portogallo per motivi procedurali, rappresenta solamente una sorta di rinvio a quando, adite le competenti autorità giudiziarie lusitane, queste si pronunceranno. E sarà comunque una vittoria: perché o quest'ultime si parametreranno a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo nella sentenza in cui si condanna per inazione la Svizzera, oppure negheranno la bontà di questo approccio ma, in tal caso, i giovani ricorrenti potranno nuovamente rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo che, ça va sans dire, si esprimerà presumibilmente a sfavore del Portogallo.

Al netto di un auspicabile protocollo facoltativo ad hoc, ossia specifico sul diritto a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile, come già suggerito dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa[8], il (ri)connettere il diritto al clima ai diritti umani positivamente codificati nella Convenzione europea consente alla Corte di Strasburgo di occuparsi di questi profili, utilizzando (alcuni de)i diritti (fondamentali) delle persone umane come una sorta di cavallo di Troia[9] per rendere le questioni legate al riscaldamento globale "giustiziabili".

L'impatto a cascata, quasi un effetto domino, di queste sentenze, che enfatizzano il ruolo cruciale dei tribunali (nazionali, regionali e internazionali) nell'esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi per salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini, lo vedremo nelle capacità dei legislatori dei 46 Paesi membri del Consiglio d'Europa, per i quali le sentenze della Corte di Strasburgo costituiscono un precedente, di prenderne atto e di intervenire di conseguenza in modo efficace per far fronte ai propri impegni climatici. A tal proposito va ben ricordato non solo che si aspetta l'esito del parere consultivo richiesto a marzo del 2023 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla Corte internazionale di giustizia sugli obblighi internazionali degli Stati in materia di cambiamento climatico,[10] ma soprattutto che pendono davanti alla Corte europea il caso Uricchio[11] e il caso De Conto[12], che vedono l'Italia come Stato convenuto in giudizio, sicché sarebbe opportuno adottare nel più breve tempo possibile misure adeguate in grado di rispettare la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, necessaria per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, prima che i cambiamenti dell'ecosistema diventino definitivi e irreversibili.

[1]https://hudoc.echr.coe.int/fre-press#{%22itemid%22:[%22003-7919428-11026177%22]}

[2]https://climatecasechart.com/wp-content/uploads/non-us-case-documents/2024/20240409_Application-no.-718921_decision-1.pdf

[3]https://climatecasechart.com/wp-content/uploads/non-us-case-documents/2024/20240409_3937120_decision.pdf

[4] https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/rules_court_ita

[5] https://www.conseil-etat.fr/fr/arianeweb/CE/decision/2020-11-19/427301

[6] https://www.legifrance.gouv.fr/ceta/id/CETATEXT000043754044

[7] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/giustizia-climatica-cittadini-allattacco-122836

[8] https://pace.coe.int/en/files/29512/html

[9] https://www.linkiesta.it/2023/09/duarte-agostinho-causa-crisi-climatica-tribunale-cedu/

[10] https://climatecasechart.com/wp-content/uploads/non-us-case-documents/2023/20230301_18913_na.pdf

[11] https://climatecasechart.com/non-us-case/uricchio-v-italy-and-32-other-states/

[12] https://climatecasechart.com/non-us-case/de-conto-v-italy-and-32-other-states/