ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

04/18/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/18/2024 04:45

Turchia: Erdoğan non supera la prova del voto

A quasi un anno dalla vittoria nelle elezioni presidenziali e legislative il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) non superano la prova del voto amministrativo che, a sorpresa, incorona il Partito repubblicano del popolo (Chp) come prima forza politica della Turchia. Se difficilmente ci saranno cambiamenti nella direzione politica ed economica che il governo ha intrapreso da quando è entrato in carica, è indubbio che il risultato elettorale rappresenta una svolta, la cui portata però resta ancora da capire. In politica estera Ankara mantiene il suo attivismo diplomatico tanto sul piano regionale quanto nella crisi ucraina, mentre si distendono i rapporti con gli Stati Uniti e i partner della Nato dopo che l'Assemblea nazionale turca ha votato a favore dell'ingresso della Svezia nell'Alleanza atlantica.

Quadro interno

La vittoria del Chp nelle elezioni amministrative segna un cambiamento significativo nel panorama politico turco caratterizzato, per oltre vent'anni, dal dominio incontrastato di Recep Tayyip Erdoğan e dell'Akp. Indubbiamente per l'Akp si tratta dell'esito peggiore dal 2002. Infatti, per la prima volta da quando è al potere il partito del presidente perde il suo primato a favore della principale formazione di opposizione. Alla sua migliore performance dal 1977, il Chp di Özgür Özel - subentrato a Kemal Kılıçdaroğlu alla guida del partito lo scorso novembre - ha ottenuto un risultato storico: 37,7% delle preferenze contro il 35,4% dell'Akp (al 44% nel 2019), ovvero 35 tra province e municipalità metropolitane rispetto alle 21 del 2019, con il partito del presidente che passa da 39 alle 24 attuali[1]. I successi più importanti sono senz'altro a Istanbul e Ankara, dove i sindaci uscenti Ekrem İmamoğlu e Mansur Yavaş sono stati riconfermati ottenendo rispettivamente il 51% e il 60% dei consensi[2], segnando un distacco di oltre dieci punti percentuali nel primo caso e di circa trenta nel secondo rispetto ai rivali dell'Akp. La sconfitta nella metropoli sul Bosforo, cuore culturale ed economico-finanziario del paese con un bilancio annuo di 6,6 miliardi di dollari[3], mantiene aperta una ferita difficilmente rimarginabile per il presidente turco, per il quale vincere Istanbul significa vincere la Turchia. Ne esce invece rafforzata la figura di İmamoğlu, tanto all'interno del suo partito quanto a livello nazionale, aprendo la strada a una sua possibile investitura alle prossime presidenziali del 2028. Tuttavia, sul sindaco di Istanbul - che, come nel 2019, è riuscito a raccogliere un consenso trasversale, anche da parte della componente curda ­- continua a pendere una condanna a due anni e sette mesi di reclusione per oltraggio a pubblico ufficiale. Una conferma da parte della Corte d'appello della sentenza di primo grado, emanata a fine 2022, interromperebbe infatti la carriera politica di İmamoğlu. Oltre a Istanbul e Ankara, il Chp ha vinto di misura nelle altre tre più grandi città del paese - Izmir (tradizionale roccaforte del partito), Antalya e Bursa - e in diverse province dell'Anatolia occidentale e meridionale. L'Anatolia centrale si conferma invece zoccolo duro dell'Akp, sebbene anche qui si sia contata qualche perdita.

A quasi un anno dalle elezioni di maggio 2023, che hanno incoronato Erdoğan e il suo partito alla guida del paese per un nuovo mandato quinquennale, le amministrative si sono dunque configurate come un banco di prova nei confronti dell'operato del governo dell'Akp e del suo alleato, il Partito del movimento nazionalista (Mhp) di Devlet Bahçeli. Sulla sconfitta di Erdoğan ha pesato soprattutto la crisi economica, risultato di anni di politiche poco ortodosse volute dallo stesso presidente che, sostenitore del mantenimento di tassi d'interesse bassi per contrastare l'inflazione, non ha mancato di esercitare la propria influenza sui vertici della Banca centrale turca. Se nel 2023, nonostante le difficoltà economiche, l'elettorato turco si era espresso a favore della continuità di fronte all'incertezza rappresentata dalla composita coalizione delle opposizioni, in questa tornata ha invece prevalso un voto di protesta. L'inflazione galoppante - al 68,5% a marzo[4] - la sospensione del meccanismo di sostegno alla valuta nazionale che continua a deprezzarsi nei confronti del dollaro (con un cambio di oltre 32 lire turche per un dollaro), l'adozione di misure di austerità in linea con il nuovo corso economico intrapreso dal ministro del Tesoro e delle Finanze Mehmet Şimşek così come le restrizioni all'accesso al credito (il tasso d'interesse è stato aumentato al 50% a marzo) hanno contribuito ad accrescere il malcontento della popolazione, soprattutto dei ceti medio-bassi, di fronte alla progressiva erosione del loro potere d'acquisto e al forte deterioramento degli standard di vita. Inoltre, in questa tornata sono mancate quelle generose misure di sostegno ai redditi più bassi che lo scorso anno erano state invece adottate dal governo prime delle elezioni presidenziali e parlamentari.

I delusi dell'Akp, più che al Chp, hanno guardato al nuovo Partito del benessere (Yeniden Refah Partisi, Yrp) - la formazione conservatrice islamista di Fatih Erbakan (figlio del più conosciuto Necmettin fondatore del Refah Partisi) che nel 2023 aveva sostenuto Erdoğan alle presidenziali ma non alle parlamentari - che con poco più del 6% dei consensi[5] si è affermato come la terza forza politica del paese. È un risultato inatteso per il partito di Erbakan, che durante la campagna elettorale ha duramente criticato il governo per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti di Israele. Il mantenimento delle relazioni commerciali con Tel Aviv[6], nonostante le accuse di "genocidio" a Gaza rivolte da Erdoğan alla leadership israeliana, è stato un tema divisivo all'interno del campo conservatore, e ha contribuito a orientare la scelta di molti elettori dell'Akp verso il Yrp[7].

A quest'ultimo segue con il 5,7% dei voti il Partito dell'uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem), filo-curdo, che prevale in ben dieci province del sud-est dell'Anatolia a maggioranza curda (ne aveva conquistate otto nel 2019). La decisione del consiglio elettorale locale di annullare la vittoria del candidato del Partito Dem Abdullah Zeydan - che ha ottenuto il 55% dei consensi - per presunta mancanza di requisiti all'eleggibilità e insediare al suo posto il candidato dell'Akp[8] ha provocato violente manifestazioni di protesta nella provincia di Van. Nonostante il Consiglio supremo elettorale si sia subito dopo pronunciato a favore del reintegro di Zeydan nella carica di primo cittadino[9], non è escluso uno scenario simile a quello che si è verificato dopo le amministrative del 2019 quando la maggior parte degli amministratori locali del Partito democratico dei popoli (Hdp), predecessore del Partito Dem, è stata estromessa dagli incarichi con l'accusa di affiliazione al terrorismo e sostituiti con commissari di nomina governativa. Negli anni non si è allentata la stretta del governo nei confronti delle formazioni filo-curde considerate affiliate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), nella lista delle organizzazioni terroristiche in Turchia, Unione europea e Stati Uniti. Su questo sfondo, e alla luce della tenuta dell'alleanza tra Akp e i nazionalisti del Mhp, appare dunque difficile una ripresa del dialogo per la soluzione della questione curda.

Se queste elezioni segnano l'inizio di una svolta per la Turchia, come indicato dallo stesso Erdoğan[10], resta da vedere in quale direzione andrà il cambiamento. La sconfitta pone indubbiamente importanti interrogativi per il presidente (al suo ultimo mandato) e per il suo partito, ma di fatto non sembra che avrà ripercussioni sulla tenuta dell'esecutivo saldamente al potere fino alla prossima tornata elettorale del 2028. In politica economica e monetaria non si attendono inversioni della rotta intrapresa lo scorso anno e mantenuta anche dopo il cambio al vertice della Banca centrale turca in seguito alle dimissioni della governatrice Hafize Gaye Erkan e la sua sostituzione con il suo vice Fatih Karahan a inizio febbraio. La riduzione dell'inflazione rimane in ogni caso una priorità tanto economica quanto politica, sebbene le misure adottate necessitino di tempi lunghi per produrre effetti tangibili.

Non da ultimo, nel contesto politico del paese è tornata a riaffacciarsi la minaccia terroristica dello Stato islamico (IS), responsabile dell'attentato di fine gennaio alla Chiesa cattolica di Santa Maria a Istanbul, dove ha perso la vita un cittadino turco[11]. La Turchia, che dal 2015 al 2017 è stata teatro di sanguinosi attacchi di matrice terroristica, tanto islamista quanto curda, continua a essere territorio di passaggio e permanenza di combattenti jihadisti, molti dei quali provenienti dall'Asia centrale (soprattutto Tagikistan) e affiliati allo Stato islamico della provincia del Khorasan (IS-KP), la branca afgana del sedicente califfato. Era di nazionalità tagika uno degli attentatori di Istanbul così come uno dei terroristi, proveniente dalla Turchia, facente parte del commando che ha perpetrato l'attacco al teatro di Mosca a fine marzo[12]. In questo contesto, rimane elevata l'allerta da parte delle forze dell'ordine turche che negli ultimi mesi hanno operato centinaia di arresti di presunti jihadisti - l'ultima vasta ondata di fermi si è avuta proprio dopo l'attentato in Russia.

Relazioni esterne

Il conflitto a Gaza e le sue implicazioni regionali continuano ad avere un impatto anche sulla politica estera della Turchia. Se la posizione fortemente critica nei confronti dall'azione di Israele a Gaza, da un lato, e il reiterato sostegno ad Hamas, dall'altro, non hanno consentito ad Ankara di giocare quel ruolo di mediazione che il presidente turco aveva inizialmente auspicato, la Turchia, attraverso la sua Mezzaluna rossa, rimane impegnata nella fornitura di aiuti umanitari (cibo, medicine, attrezzature) alla popolazione della Striscia[13]. Nel corso degli ultimi mesi, inoltre, la preoccupazione per un ampliamento del conflitto su più ampia scala - scenario inviso a tutti gli attori regionali - ha alimentato un certo attivismo diplomatico da parte del governo turco in Medio Oriente. Una convergenza di vedute sul contenimento della crisi sul piano regionale era emersa anche con l'Iran - nonostante i due paesi si trovino, non di rado, su posizioni distanti su diversi dossier regionali - in occasione dell'incontro tra il presidente turco e il suo omologo iraniano Ebrahim Raisi ad Ankara a fine gennaio[14]. Evitare un'escalation in Medio Oriente rimane l'obiettivo di Ankara così come ha prontamente reiterato il ministro Fidan al suo omologo iraniano all'indomani dell'attacco condotto, e ampiamente annunciato, da Teheran contro Israele nella notte tra il 13 e il 14 aprile[15].

La guerra a Gaza è stata inoltre al centro dei colloqui di Erdoğan con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, impegnato in prima linea negli sforzi diplomatici per un accordo sul cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Al di là del sostegno di Ankara alla mediazione egiziana, la storica visita del leader turco al Cairo a metà febbraio suggella quel processo di riavvicinamento diplomatico tra Turchia ed Egitto, iniziato con round di colloqui tra delegazioni ministeriali nel 2021 e proseguito con l'invio dei rispettivi ambasciatori nell'estate del 2023, che ha messo fine a un decennio di tensioni politiche. Nonostante permangano ancora delle criticità a livello bilaterale, la normalizzazione turco-egiziana fa venire meno un fattore di instabilità in un contesto di accresciuta conflittualità e apre la strada a una maggiore cooperazione non solo a livello bilaterale ma potenzialmente anche nei diversi contesti di crisi in cui i due paesi hanno interessi (dalla Libia al Mediterraneo orientale fino al Corno d'Africa). Oltre all'ambito economico ed energetico, la cooperazione bilaterale si estenderà al settore della difesa. Infatti, stando alle dichiarazioni del ministro degli Esteri turco Akan Fidan al rientro dal Cairo qualche giorno prima della visita di Erdoğan, la Turchia fornirà droni Bayraktar TB2 all'Egitto[16].

Il paese nordafricano si unirà così al novero degli stati - tra cui anche diversi paesi africani - che negli ultimi anni hanno acquistato droni turchi, utilizzati ad esempio anche da Azerbaigian, Libia e Ucraina nelle crisi che li vedono coinvolti. Grazie anche all'aumento dell'export di droni, la Turchia si colloca all'undicesimo posto della classifica mondiale degli stati esportatori di armi stilata dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), con forniture che nel periodo 2019-23 sono più che raddoppiate (+ 106%) rispetto al quadriennio precedente[17]. Il trend di crescita sembra essere destinato a continuare anche nel 2024: i primi due mesi dell'anno hanno infatti registrato un aumento del 12% delle esportazioni del settore aerospaziale e della difesa rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente[18].

L'importanza della Turchia come fornitore di armi nonché partner militare per alcuni paesi africani, e non solo, è confermata dal recente "Accordo quadro di cooperazione di difesa ed economica" firmato con la Somalia a inizio febbraio[19]. Secondo alcune fonti, oltre alla fornitura di addestramento ed equipaggiamento alla marina somala, la Turchia assicurerà il proprio supporto alla sicurezza marittima della Somalia con operazioni di pattugliamento volte a contrastare attività illecite nelle sue acque territoriali[20]. L'accordo, che giunge in una fase di crescenti tensioni nel Corno d'Africa dopo il Memorandum d'intesa siglato dall'Etiopia con il Somaliland[21], rinsalda la ultradecennale cooperazione tra Ankara e Mogadiscio, che da tempo include anche la lotta al terrorismo. Proprio in Somalia, tra l'altro, si trova dal 2017 la più grande base militare turca all'estero, a dimostrazione della rilevanza del paese per la proiezione di Ankara in un'area strategica. Non da ultimo, l'ampio sostegno turco a Mogadiscio si arricchisce di una dimensione energetica con un accordo, firmato a marzo, per l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi off-shore[22].

Nel quadrante mediorientale si rafforza invece la cooperazione della Turchia con l'Iraq soprattutto in materia di contrasto alle attività del Pkk, designato come "minaccia" alla sicurezza dei due paesi[23]. A metà marzo il Consiglio per la sicurezza nazionale iracheno ha bandito l'organizzazione militante curda - che Baghdad diversamente da Ankara non considera un'organizzazione terroristica - dopo l'incontro, nella capitale irachena, dei ministri degli Esteri Fidan Hakan e della Difesa Yaşar Güler, accompagnati dal capo dell'intelligence İbrahim Kalın, con i loro omologhi iracheni[24]. Se resta da vedere quali saranno i risultati di questa decisione sul piano operativo, si tratta indubbiamente di una svolta nelle relazioni bilaterali, a lungo caratterizzate da forti tensioni. Negli anni, infatti, le violazioni della sovranità territoriale irachena perpetrate tanto dalla presenza di postazioni militari quanto dalle operazioni aeree e terrestri delle forze armate turche contro basi del Pkk nel nord dell'Iraq sono state una delle principali fonti di attrito tra i due paesi. La lotta al terrorismo di matrice curda rimane una priorità per la Turchia, che non esclude la possibilità di una nuova massiccia operazione tanto in Iraq quanto in Siria nei prossimi mesi. Oltre a garantire la sicurezza del proprio territorio, sembra che Ankara miri a sradicare la presenza del Pkk dalle aree di Metina e Gara nel Kurdistan iracheno anche per salvaguardare il progetto di sviluppo stradale iracheno che prevede la costruzione di un'autostrada e una linea ferroviaria di 1.200 chilometri tra Bassora e il confine turco[25]. L'obiettivo di questo ambizioso progetto sarebbe di creare un corridoio per le merci tra il Golfo e i mercati europei, attraverso Iraq e Turchia, alternativo alla rotta marittima che passa dallo Stretto di Bab el-Mandeb e dal Canale di Suez.

Negli scorsi mesi l'attivismo diplomatico della Turchia è proseguito anche sul fronte russo-ucraino, dove Ankara continua un difficile bilanciamento non solo tra la parti ma anche tra Russia e Occidente. Sebbene gli sforzi turchi per riportare al tavolo negoziale le parti in conflitto non abbiano ancora prodotto risultati concreti - di fatto quelli svoltisi in Turchia nel 2022 sono stati gli unici incontri di alto livello tra le due parti dallo scoppio del conflitto -, Ankara rimane un interlocutore affidabile tanto per Mosca quanto per Kiev. Lo conferma la frequenza di incontri e colloqui tra i vertici di Ankara e le loro controparti russe e ucraine. Se l'annunciata visita di Vladimir Putin, prevista per febbraio, è stata rinviata, il ministro degli Esteri Sergej Lavrov non ha fatto mancare la sua partecipazione all'Antalya Diplomacy Forum di inizio marzo. Pochi giorni dopo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è recato in visita a Istanbul. La sicurezza delle esportazioni di grano e di altri prodotti alimentari ucraini, lo scambio di prigionieri e la sicurezza marittima nel Mar Nero sono stati i temi al centro dei colloqui con Erdoğan, che nell'occasione ha reiterato la sua proposta di un nuovo incontro russo-ucraino in Turchia[26]. Mantenere l'integrità territoriale dell'Ucraina, anche in funzione di contenimento dell'influenza russa, ed evitare un'escalation nella regione del Mar Nero rimangono prioritarie per Ankara. In quest'ottica, continua e si rafforza la cooperazione bilaterale nel settore della difesa attraverso la fornitura a Kiev non solo di droni, ma anche di elicotteri, veicoli Cobra II, e due corvette anti-sommergibili Ada-class (in consegna entro l'anno)[27].

Se negli ultimi anni la diversificazione delle partnership da parte di Ankara e soprattutto i legami con la Russia sono stati fonte di attrito con gli alleati occidentali, la decisione del parlamento turco di ratificare l'adesione della Svezia nell'Alleanza atlantica sembra avere aperto una fase di distensione con gli alleati della Nato e soprattutto con gli Stati Uniti. A fine gennaio l'amministrazione Biden ha infatti sbloccato la vendita alla Turchia di quaranta F-16 e di settantanove kit per l'ammodernamento di quelli esistenti, per un valore di 23 miliardi di dollari[28]. Da tempo il governo turco premeva su quello americano sulla questione degli F-16, bloccata in seguito all'acquisto da parte turca del sistema di difesa missilistico S-400 nel 2019 all'interno di un pacchetto di sanzioni nei confronti del settore della difesa turco.

[1] S. Hacaoglu, "How Turkey's Local Elections Turned Into a Defeat for Erdogan", Bloomberg, 1 aprile 2024.

[2]Election Results 2024, Daily Sabah.

[3] S. Hacaoglu, B. Akman e F. Kozok, "Erdogan Nemesis Emerges as Top Rival After Istanbul Win", Bloomberg, 1 aprile 2024.

[4] Turkish Statistical institute, "Consumer Price Index, February 2024", Press Release, 4 marzo 2024.

[5] "New Welfare Party doubles its votes in local elections", Hurriyat Daily News, 1 aprile 2024.

[6] Solo nei giorni successivi al voto è arrivata la decisione del governo turco di limitare l'export di decine di prodotti - tra cui ferro, acciaio, fertilizzanti, carburante per aerei - verso Israele.

[7] L. Toninelli e S. I. Leykin, "Türkiye Elections: Is This the End of the Erdoğan Era?", ISPI MED This Week, 5 aprile 2024.

[8] E. Akin, "Turkey's pro-Kurdish party slams annulment of election victory in southeast", Al-Monitor, 2 aprile 2024.

[9] A. Samson, "Turkish authorities yield to protesters over local election", Financial Times, 4 aprile 2024.

[10] R. Grignanti, A. Xenos e F. Picard, "Turning point for Turkey? Erdogan's AKP suffers biggest election setback in decades", France 24, 1 aprile 2024.

[11] R. Valle e C. Cebe, "How and why ISIS-K has resurged in Turkey", Al-Monitor, 19 febbraio 2024.

[12] N. Bourcier, "Moscow attack: Turkey tracks down numerous active IS networks", Le Monde, 28 marzo 2024.

[13] "Turkey's Erdogan calls for pressure on Israel to allow more aid into Gaza", Reuters, 12 marzo 2024.

[14] "Turkey, Iran agree on need to avoid escalating Mideast tensions -Erdogan", Reuters, 24 gennaio 2024.

[15] "Ankara urges Iran to avoid further escalation with Israel", Daily Sabah, 14 aprile 2024.

[16] "Türkiye agrees to provide combat drones, other tech to Egypt", Daily Sabah, 5 febbraio 2024.

[17] P. D. Wezeman, K. Djokic, M. George, Z. Hussain e S. T. Wezeman, Trends in international arms transfers, 2023, Sipri Fact Sheet, Sipri, marzo 2024.

[18] "Turkish defense industry sees 12% export surge in first 2 months", Daily Sabah, 3 marzo 2024.

[19] S. Soylu, "Somalia authorises Turkey to defend its sea waters in 'historic' deal", Middle East Eye, 21 febbraio 2024.

[20] E. Akin e B. Farhat, "Turkey confirms Somalia maritime security deal amid Somaliland tensions", Al-Monitor, 22 febbraio 2024.

[21] Sui termini e sulle implicazioni del Memorandum d'intesa Etiopia-Somaliland si veda il capitolo di Federico Donelli in questo Focus.

[22] E. Akin, "After defense deal, Turkey and Somalia ink energy accord amid Somaliland tensions", Al-Monitor, 7 marzo 2024.

[23] E. Akin, "Iraq bans PKK as security ties with Turkey gain momentum", Al-Monitor, 14 marzo 2024.

[24]Ibidem.

[25] L. Kemal e R. Soylu, "Turkey to launch Iraq military campaign to secure road-rail project to Gulf", Middle East Eye, 13 marzo 2024.

[26] C. Sezer e Y. Dysa, "Erdogan offers to host Ukraine-Russia peace summit after meeting Zelenskiy", Reuters, 8 marzo 2024.

[27] P. Dost, "The Ukraine-Turkey defense partnership with the potential to transform Black Sea and Euro-Atlantic security", Atlantic Council, 5 marzo 2021.

[28] A. Coşkun, "Can the F-16 Deal Revive the Turkish-American Partnership?", Commentary, Carnegie Endowment for International Peace, 12 febbraio 2024.