Slow Food Editore S.r.l.

05/02/2024 | Press release | Distributed by Public on 05/02/2024 01:57

Nico Sartori, all’uomo del frantoio il Premio Soracco 2024

Da più di trent'anni è titolare di Fattoria Altomena, in Toscana. «Ho studiato ragioneria, di chimica non ne so molto. Ma so parlare con chi costruisce le macchine e sogno di fare del frantoio un luogo più umano»

Fino a 32 anni, Nico Sartori non sapeva «neanche come fosse fatta una pianta di olivo». Oggi, che di anni ne ha 64, l'olio è diventato - parole sue - una malattia. «Venivo dalla montagna, dal Veneto, e non conoscevo questo settore. Però avevo già l'hobby del giardinaggio: curavo l'erba del giardino e mi piaceva. Così, quando abbiamo ceduto la ditta di famiglia che produceva macchine per la panificazione, ho pensato di cambiare vita: il mio ideale di vita sarebbe stato fare il giardiniere, invece ho trovato questa proprietà in Toscana con trecento ettari di terra e mi ci sono trasferito». La proprietà si chiama Fattoria Altomena ed è un'azienda agricola posta sulle colline di Pelago, una ventina di chilometri a est di Firenze, che produce olio e vino. E proprio grazie al suo impegno a tutto tondo nel mondo dell'olio, in occasione della presentazione nazionale della Guida agli Extravergini 2024di Slow Food Editore a Nico Sartori è stato assegnato il premio speciale dedicato alla memoria di Diego Soracco, per anni curatore della Guida stessa.

Questa la motivazione del Premio:

Da quando è arrivato dal Veneto, oltre trent'anni fa, si adopera per rendere vivo il paesaggio e contrastare il diffuso abbandono delle olivete in questo angolo di Toscana. Punto di riferimento ormai imprescindibile per produttori e frantoiani del territorio, Nico si impegna continuamente in un settore che una volta era molto chiuso e rigidamente ancorato alla tradizione e che grazie a figure come la sua ha saputo coniugare innovazione in frantoio e valorizzazione della biodiversità del territorio. Oggi, anche in annate come quella appena trascorsa, che hanno messo in crisi molti produttori, Nico è capace di regalarci vere emozioni frutto di tanto amore e tanta determinazione. Bravo Nico, Diego sarebbe stato felice di assaggiare i tuoi extravergini.

«Quando ho acquistato la proprietà c'erano 48 ettari di olivi, 26 di vigneto, un centinaio di boschi e tanto grano duro. Ma il vino era di pessima qualità e il terreno non è adatto al grano. L'olio, di cui si occupavano il fattore e gli operai che lavoravano qua, invece era già piuttosto buono tanto che, ogni anno, veniva premiato dalla Camera di Commercio locale». Ogni anno, tranne il 1997: «Telefonai per chiedere spiegazioni e mi dissero che c'era un leggero riscaldo nel nostro prodotto - ricorda oggi -. Mi dissero che probabilmente avevamo gramolato troppo, ma non capivo che cosa significasse. Mi informai, cominciai a frequentare persone del settore e ben presto mi sono trovato coinvolto in tutta una serie di cose che fanno sì che, ancora oggi, l'ultima cosa a cui penso la sera, quando spengo la luce prima di dormire, siano i macchinari di un frantoio. In questo momento, in particolare, sto pensando al denocciolatore».

La pianta o il frantoio?

Alla domanda su che cosa serva per fare un buon olio, Nico risponde con una ricetta che suona semplice soltanto a un orecchio inesperto: «Olive sane colte al momento giusto, lavorate alla temperatura corretta. Senza questo non si può pensare di avere un olio buono - dice -. Le cultivar toscane, che conosco meglio, hanno una finestra di maturazione che va da una settimana a venti giorni: se raccogli in quel momento riesci a fare produzione di qualità, altrimenti inizi troppo presto e finisci troppo tardi». Questa è la prima difficoltà. Poi c'è la temperatura, un aspetto divenuto oramai critico per via della crisi climatica. Infine si tratta del lavoro in frantoio: «Si lavora trecentosessantaquattro giorni e ventitré ore per avere le condizioni ideali, però poi la qualità si fa in un minuto, cioè nel momento in cui si rompe l'oliva - aggiunge -. Il frangitore è la macchina più importante che c'è in frantoio: prima c'è il frutto, dopo c'è l'olio».

Negli anni, Sartori ha analizzato tutto ciò che avviene in un frantoio per cercare di ottimizzare le operazioni e trarne il massimo in termini di efficienza, qualità e risparmio di risorse: «Possiamo dire che ho fatto lo stesso percorso che fanno le olive, a cominciare dal lavaggio, che per me è un momento fondamentale per evitare che vi siano terra, muffe, batteri. Pensate che quando gli amici con cui mi confronto su questi argomenti mi vogliono prendere in giro mi dicono: "Va bene tutto, ma non parlarci della lavatrice!"». La passione con cui Nico racconta ciò che fa non lascia molti dubbi, ma la domanda è d'obbligo: meglio la pianta o il frantoio? «Guardo l'ulivo ed è bello, ma preferisco il frantoio. Se all'animo l'oliveta ti tranquillizza, il frantoio mi stimola: uno è un sedativo, l'altro è uno stimolante che rende iperattivo, anche se è un posto di rumore e confusione. Ho sempre avuto il pallino per la meccanica e sogno di rendere il frantoio un luogo più umano - confessa -. Ho studiato ragioneria, mentre di chimica non so nulla: insomma, non ho le basi per fare l'agronomo, ma posso parlare con chi costruisce i macchinari ed essere più o meno a pari livello».

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