Slow Food Editore S.r.l.

04/19/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/19/2024 10:12

Irene Calamante: il pane come una volta per ritrovare le proprie radici

«Sentivo l'esigenza di tornare alle radici, quelle delle donne della mia famiglia. Per generazioni siamo state unite dal semplice atto di fare il pane: ci si riuniva per raccontarsi storie, si faceva il pane e ci si prendeva cura della famiglia. Qualsiasi cosa cucinassimo prendeva le sembianze di nutrimento per le nostre anime. Volevo che la mia vita tornasse lì, a quei momenti sostanziali che stavo perdendo».

Irene Calamante, panificatrice di grani antichi, è una delle Dieci donne che salvano la terra, il progetto di Slow Food Italia che vuole dare valore e voce alle donne piemontesi che - spesso nell'ombra - lavorano per custodire la terra, produrre cibo buono, pulito e giusto, e cambiare il futuro.

Irene è l'anima di Cuore di Pane, laboratorio di panificazione artigianale che sta contribuendo a salvare varietà tradizionali di cereali e mulini a pietra a Cabella Ligure, sulle colline dell'Alessandrino, al confine tra Piemonte e Liguria.

Qui, in val Borbera, Irene ha deciso di tornare alle radici e alla natura. Ha lasciato la grande città frenetica e dallo spirito individualistico per trovare, in campagna, il senso di comunità che le mancava. In valle restava poco della vita che l'aveva popolata in passato, ma la determinazione e il progetto del forno agricolo le hanno permesso di ricreare quella comunità che cercava.

Si è messa subito alla ricerca degli antichi molini a pietra che un tempo avevano animato questa valle selvaggia e dedita alla coltivazione di grani autoctoni e locali. «Un'intera valle dedicata alla cultura cerealicola, come poche. Tutti mi prendevano per matta a voler aprire un panificio in una valle spopolata, ma a me piaceva l'idea di fare il pane dove i grani della tradizione erano ancora prodotti. E chi era rimasto voleva fortemente ritrovare la comunità».

Prima del suo arrivo queste colline non avevano più una filiera cerealicola locale ma solo qualche agricoltore che produceva per il consumo familiare. «Prima di aprire il forno ho chiesto loro di iniziare a produrre quantità maggiori per poter essere miei fornitori. Oggi abbiamo recuperato anche alcuni molini ormai inattivi. Loro sono felici perché mi hanno confessato che grazie al mio progetto si sono riappropriati della cultura cerealicola che stavano perdendo. Per me è stato bello trovare una comunità molto attenta che volesse sostenermi e ritrovare il territorio anche grazie alla riscoperta di una tradizione».

Con questo spirito Irene, insieme al compagno Dario, ha dato vita anche a Social Bakery ad Arquata Scrivia: una caffetteria e rivendita di pane per legittimare la filiera locale. Un luogo dove i cittadini delle vallate vicine e i tanti visitatori possono acquistare i prodotti locali e che si pone anche come riferimento per attività culturali e di turismo lento.

La giornata di Irene è atipica per la categoria del panettiere cui siamo abituati. Grazie alla panificazione con pasta madre non è costretta ad alzarsi la notte per lavorare, perché il lievito di notte riposa. La sua giornata inizia al mattino con gli impasti, e così prosegue per tutto il giorno, «con ritmi lenti, come dovrebbe essere il pane. Il ciclo di lievitazione del pane non è rapido come fanno credere le panetterie che lavorano la notte. Un buon ciclo di lievitazione, formatura e cottura prende 6-7 ore».

Prima di cena, poi, si conclude la sua giornata con il rinnovo del lievito naturale per il giorno successivo. «Mi piace pensare che questo momento, in piccolo, rappresenta un po' il mio proposito: il lievito a fine giornata rinasce, è un momento di rinnovamento».

Non è stato semplice per Irene trovare il suo spazio. Fare qualità in un mondo in cui i tempi sono veloci e votati al guadagno. Far comprendere ai clienti i ritmi artigianali, il sentimento di cura, per il pane e per la terra.

Un grande ostacolo è legato all'essere una donna che fa il pane. Siamo abituati a pensare che il panificatore sia sempre un uomo che svolge un lavoro di fatica: scarica sacchi pesanti di farina e sta sveglio di notte. «In realtà non è così. Se ci pensiamo bene, fare il pane è un'attività nata dal femminile. Nelle famiglie erano le donne a prepararlo ed era l'alimento che più di tutti simboleggiava il nutrimento. Quando poi si è slegata dalla dimensione familiare per legarsi a quella economica è subentrato il patriarcato.

Fare il pane con i grani autoctoni ci permette di non dimenticare mai chi siamo e da dove veniamo. Sono convinta che l'innovazione sia nulla senza il ricordo delle nostre origini. Conoscerle ci aiuta a essere più consapevoli nelle scelte e più simili all'ambiente».

Dieci donne che salvano la terra

Slow Food Italia - con il patrocinio e il contributo della Regione Piemonte - ha lanciato l'iniziativa Donne che salvano la terra per dare valore e voce alle donne piemontesi che, spesso nell'ombra, lavorano per custodire la terra, produrre cibo buono, pulito e giusto, cambiare il futuro. Donne che possono diventare fonte di ispirazione per le ragazze e i ragazzi che stanno compiendo il loro percorso di formazione scolastico e personale. Per scoprirle e raccontarle, Slow Food ha chiesto ai propri soci e simpatizzanti, appassionati gastronomi, attivisti sui temi dell'ambiente e operatori della società civile, giornalisti e blogger, di attivarsi e candidare la propria "donna che salva la terra". Al termine della fase di candidatura, una commissione ha selezionato 10 donne, impegnandosi a diffondere le loro storie attraverso i canali di Slow Food Italia per mostrare con orgoglio il lavoro che ogni giorno realizzano.

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