ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

04/14/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/14/2024 04:22

Scontro Iran-Israele: quali sono le cause e gli scenari della crisi

La guerra fantasma tra Israele e Iran si è trasformata in una guerra vera, almeno per qualche ora. L'attacco simultaneo lanciato nella notte dalla Repubblica islamica, in risposta al raid in Siria che ha ucciso un alto comandante dei pasdaran, non ha sortito effetti significativi in termini di danni e vittime, ma evidenzia come un'altra linea rossa, l'ennesima, sia stata superata in Medio Oriente. Per due settimane osservatori locali e internazionali si sono chiesti se, al raid contro l'ambasciata israeliana a Damasco, Teheran avrebbe risposto simbolicamente o avrebbe provocato un'ulteriore escalation del conflitto. Quanto accaduto nei cieli del Medio Oriente, con un attacco che secondo fonti militari americane sarebbe durato circa cinque ore, sembra un esito a metà strada fra le due opzioni: l'Iran ha sferrato un attacco senza precedenti e dal proprio territorio, evitando di affidarsi a Hezbollah o altri gruppi filo-Teheran nella regione, ma allo stesso tempo è stata una risposta ampiamente anticipata che non ha provocato danni tali da giustificare una contro-reazione israeliana. A livello politico, tuttavia, le conseguenze sono molto significative per la Repubblica islamica, come anche per Israele e in generale per i futuri scenari del Medio Oriente.

Un attacco 'telefonato'

Guardiamo ai numeri. Le Forze di difesa israeliane hanno fatto sapere che il 99% dei circa 300 droni e missili lanciati dall'Iran sono stati intercettati. L'Iran ha lanciato 170 droni suicidi, nessuno dei quali è entrato nello spazio aereo israeliano, abbattuti perlopiù nei cieli di Siria e Giordania e 30 missili da crociera, di cui 25 abbattuti dall'aeronautica israeliana e dalle forze statunitensi e britanniche dispiegate nella regione. Teheran ha lanciato anche 120 missili balistici, l'arma più temuta dell'arsenale iraniano perché capace di raggiungere lo Stato ebraico in tempi brevi, anziché dopo diverse ore. Molti sono stati abbattuti dal sistema di difesa aerea Arrow, e i pochi che sono riusciti ad aggirare le barriere israeliane hanno colpito la località di Nevatim, a est di Be'er Sheva, sede di una base aerea (obiettivo militare, ndr) nel deserto del Negev, senza provocare vittime. L'attacco è stato preceduto e preannunciato da giorni di indiscrezioni a mezzo stampa che hanno neutralizzato qualsiasi effetto sorpresa. In particolare, nella giornata di venerdì 12 aprile, il Wall Street Journal ha riferito che l'attacco si sarebbe verificato entro 24-48 ore. Questo battage, avvenuto persino attraverso contatti indiretti tra USA e Iran nel tentativo di evitare un allargamento del conflitto, ha permesso allo Stato ebraico e ai suoi alleati di prepararsiadeguatamente.

Iran in prima linea, dimostrazione di forza o debolezza?

Il fatto che Teheran abbia optato per la soluzione 'simbolica' è emerso anche attraverso le dichiarazioni delle autorità iraniane. Il capo di stato maggiore delle forze armate, generale Mohammad Bagheri, ha intimato a Israele e Stati Uniti di non mettere ulteriormente alla prova l'Iran con una contro-risposta, ma anche dichiarato che la faccenda, dal punto di vista di Teheran, è pienamente conclusa. Non solo. Mentre l'attacco era ancora in corso, l'account X dell'ambasciata iraniana a New York (Nazioni Unite, ndr) scriveva in un post: "L'azione militare dell'Iran è stata una risposta all'aggressione del regime sionista contro le nostre sedi diplomatiche a Damasco. La questione può dirsi conclusa". Si tratta di un chiaro invito a Israele affinché dichiari 'pari e patta', senza ulteriori complicazioni.

Il regime di Teheran, intanto, può 'vendere' l'attacco alla propria opinione pubblica interna e alla sua rete di proxies in Medio Oriente come una vittoria almeno dal punto di vista simbolico e psicologico: per la prima volta, la Repubblica nata dalla rivoluzione iraniana - poi dominata e repressa dalla componente religiosa - di 45 anni fa ha dimostrato la propria forza e colpito direttamente il 'piccolo satana', come viene definito Israele nella propaganda ufficiale. Ma anche per lo Stato ebraico c'è un messaggio da leggersi in filigrana: se Teheran non avesse dato tutto questo preavviso e tempo per prepararsi, Israele avrebbe potuto subire seri danni al suo territorio (che comunque si è avvalso del sostegno americano e britannico per rispondere efficacemente). Inoltre, come dimostra la lunga lista di colloqui avuti nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri Amir-Abdollahian, Teheran ha recuperato linee di dialogo e interlocuzioni con attori occidentali (tra cui Italia e Germania), dando prova del proprio standing internazionale. Ciononostante, l'esito ambiguo di un attacco così imponente rischia di sortire l'effetto contrario, non consentendo il ripristino di alcuna deterrenza e proiettando su Teheran un'immagine di debolezza che potrebbe spingere Israele a un'ulteriore contromossa.

Israele: via da Gaza e ritorno al passato?

Dal punto di vista israeliano, la risposta arrivata dall'Iran ha una triplice utilità. Da un lato permette di distogliere l'attenzione, interna e internazionale, dal ritiro delle forze di terra dalla Striscia di Gaza senza aver sconfitto Hamas, né tantomeno liberato tutti gli ostaggi israeliani; dall'altro lo Stato ebraico ottiene nuovamente ampio consenso e sostegno internazionale (da parte dei paesi arabi e occidentali, ndr) in una fase di isolamento e insoddisfazione crescente per la nefasta operazione nella Striscia di Gaza, che ha provocato finora quasi 34mila vittime palestinesi. Infine, la crisi innescata dal raid sull'ambasciata iraniana a Damasco giustifica la narrativa che vede l'Iran come la 'principale minaccia' per la sicurezza della regione, una narrativa che la leadership israeliana si affanna a ribadire ormai da anni ed è nuovamente pronta a cavalcare.

Tuttavia, se la leadership iraniana non può permettersi una guerra aperta, anche perché impegnata a contrastare i continui attacchi terroristici nella provincia del Sistan e Baluchistan e a risolvere annosi problemi interni sia di natura economica sia sociali, Netanyahu potrebbe cogliere occasione per alzare il livello di scontro e allontanare la fine, auspicata dalla maggioranza degli israeliani, della sua esperienza di governo. Il gabinetto di guerra israeliano non ha ancora stabilito se e quando ci sarà una risposta, ma molto nelle prossime ore dipenderà dalla posizione americana, che si è già detta contraria a ulteriori ritorsioni contro Teheran e non sembrerebbe disposta a seguire la leadership israeliana in caso dovesse optare per un ulteriore innalzamento del livello della tensione regionale.

Biden, costretto a gestire una crisi che non voleva

Nella lunga notte mediorientale, Netanyahu ha sentito al telefono il presidente americano Joe Biden, che ha condannato l'attacco iraniano e ribadito il "ferreo sostegno" di Washington a Israele. Tuttavia, un funzionario della Casa Bianca ha informato il sito americano Axios che il presidente - costretto a interrompere il consueto weekend di riposo nel Delaware per tornare a Washington - è stato molto chiaro con Netanyahu: gli Stati Uniti, insieme a Regno Unito e Giordania, hanno fatto la loro parte, ma non sosterranno alcun contrattacco israeliano nei confronti dell'Iran. Si tratta di un elemento importante, considerato che la gestione americana dall'inizio della crisi iniziata il 7 ottobre ha sempre avuto l'obiettivo chiave di evitare un ampliamento del conflitto a livello regionale. Non solo per la necessità di garantire la stabilità mediorientale, ma anche alla luce di un appuntamento sempre più vicino con le elezioni presidenziali.

In concreto, cosa succede?

Gli scenari possibili sono sostanzialmente due: Israele potrebbe accettare il 'pareggio' e tornare alla logica del tit for tat, ossia a scambi di fuoco circoscritti non con l'Iran in sé ma con le milizie filo-Teheran in Siria e Libano (talvolta, ma raramente, anche in Iraq); al contrario, Israele potrebbe sfidare la contrarietà statunitense e l'opposizione della comunità internazionale e contrattaccare in territorio iraniano, come peraltro ampiamente preannunciato dall'establishment politico e militare dello Stato ebraico. Anche Israele, dal punto di vista comunicativo, può rivendicare una vittoria: quella di aver neutralizzato con successo l'attacco aereo più grave subito finora - nonché il primo dall'Iran - sul suo territorio nazionale. Tuttavia, non è detto che questo sia sufficiente. Ancora una volta, la questione cruciale resta quella del destino nazionale di Israele, legato a doppio filo a quello personale di Netanyahu. Il modo in cui questo influirà sulla condotta del paese dopo la sua 'notte più buia' è tutto da vedere.