ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

01/12/2024 | Press release | Distributed by Public on 01/12/2024 02:53

Trumpnomics &Co: le idee in campo

Il 15 gennaio, in Iowa, avranno inizio le primarie per le elezioni presidenziali statunitensi. Mentre in campo democratico Joe Biden non ha rivali di peso, la contesa in campo repubblicano sembra un po' più aperta, anche se Donald Trump ha un notevole vantaggio sugli altri pretendenti.

Come nel passato, le proposte di politica economica formulate dai candidati giocheranno un ruolo importante nel determinare il vincitore delle elezioni. Come contraltare alla ben delineata "Bidenomics" è utile mettere a confronto i programmi economici dei tre principali contendenti repubblicani (Donald Trump, Ron De Santis e Nikki Haley) per un doppio interesse: (i) offrono un'idea del dibattito economico all'interno del Partito Repubblicano, e (ii) forniscono una prima indicazione di quale potrebbe essere il possibile impatto di un'Amministrazione Repubblicana sulle relazioni economiche internazionali.

Tre piattaforme economiche: le idee di fondo

I programmi economici dei tre candidati sono esplicitati nelle rispettive piattaforme elettorali: l' "Agenda 47" di Donald Trump, la "Declaration of Economic Independence" di Ron De Santis e il "Freedom Plan" di Nikki Haley.

Come già nel 2016 e nel 2020, il programma economico di Trump è un misto di liberismo e populismo nazionalista. Dal lato liberista vi sono le riduzioni d'imposta, il ridimensionamento del ruolo del governo federale, le politiche di deregolamentazione, particolarmente vigorose in campo energetico e ambientale. Dal lato del populismo nazionalista, sotto la formula America First, vi sono politiche commerciali protezionistiche, misure anti-migratorie radicali, la negazione del cambiamento climatico e misure di politica industriale a favorire imprese e lavoratori statunitensi a scapito della concorrenza internazionale (e del consumatore statunitense).

La Declaration of Economic Independence di Ron De Santis presenta molte similarità con la piattaforma economica di Donald Trump. Anch'essa è un mix di liberismo (riduzioni d'imposta/flat tax, diminuzione del ruolo del governo federale, deregolamentazione) e populismo (creazione di un sistema di immigrazione "al servizio dei cittadini americani e non delle elites che dirigono le multinazionali", opposizione ai salvataggi delle banche, limitazione dell'indipendenza della Federal Reserve), con una forte impronta anti-woke (taglio di fondi e sanzioni a organizzazioni e imprese che attuano programmi DEI - Diversità, Equità, Inclusione).

Il Freedom Plan di Nikki Haley è quel che si potrebbe definire un programma liberista-conservatore, con alcune concessioni (principalmente sull'immigrazione e sul cambiamento climatico) alle proposte populistico-nazionaliste di Trump o De Santis. Haley concentra le sue critiche contro "il socialismo di Joe Biden", che "ha reso l'America più povera e più dipendente dal governo federale". Riduzione del debito pubblico, ridimensionamento del ruolo dello stato nell'economia, deregolamentazione, sono i cavalli di battaglia del Freedom Plan.

Fino a un decennio fa, il Freedom Plan di Haley sarebbe stato mainstream nel Partito Repubblicano. L'ascesa di Trump ha tuttavia cambiato radicalmente la posizione repubblicana su questioni quali la globalizzazione, il protezionismo, l'immigrazione o le politiche di bilancio. Il liberismo d'antan ormai convive difficilmente con un populismo dalle connotazioni etno-nazionaliste. Nella dialettica tra liberismo e populismo etno-nazionalista, con Trump e De Santis è quest'ultimo che prevale, mentre con Haley è il primo ad avere la meglio.

Politiche economiche a confronto

Consideriamo ora più in dettaglio la posizione dei tre candidati alle primarie su quattro punti che qualificheranno la politica economica del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, se questo sarà repubblicano:

Tutti d'accordo sul rilancio dei combustibili fossili e del nucleare

Sulla questione energetica e sul come (non) affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico si registra la più significativa convergenza tra i programmi dei tre candidati. In campo energetico, essi concordano sulla necessità di restaurare l'indipendenza energetica degli Stati Uniti, rilanciando massicciamente la produzione di combustibili fossili, riprendendo e accelerando la costruzione di gasdotti e oleodotti, e riscoprendo l'energia nucleare.

Inoltre, poiché il cambiamento climatico viene considerato una "bufala cinese" per indebolire l'economia americana, Trump, De Santis e Haley concordano sulla necessità di abbandonare gli Accordi di Parigi, abolire le regolamentazioni e i sussidi introdotti da Biden per favorire la produzione di energie pulite, interdire gli standard ESG, rilanciare il settore automobilistico tradizionale attraverso la revoca degli incentivi in favore della produzione e la vendita di auto elettriche contenuti nell'Inflation Reduction Act. Di conseguenza, nel caso di elezione di un/a presidente repubblicano/a, il drastico cambiamento di rotta sulle questioni del cambiamento climatico produrrà, almeno inizialmente, anche un significativo ridimensionamento delle politiche industriali, che si concentreranno nei semiconduttori e nelle produzioni legate al settore della difesa.

Quanto protezionismo contro la Cina?

Sul decoupling economico con la Cina le posizioni dei tre candidati, per quanto non distanti, sono più differenziate. Trump, De Santis e Haley sono concordi nel considerare la Cina come un nemico e sulla necessità di convincere le imprese statunitensi a rimpatriare il capitale investito nel Paese asiatico. Trump e De Santis avanzano proposte che porterebbero a un rapido decoupling dell'economia americana da quella cinese, per esempio revocando la clausola della nazione più favorita per la Cina. Inoltre, Trump ha annunciato un piano quadriennale volto a eliminare progressivamente tutte le importazioni di beni essenziali (prodotti elettronici e farmaceutici, acciaio, ecc.) dal Paese asiatico, nonché la loro importazione indiretta attraverso Paesi terzi. Dal canto suo, De Santis impedirebbe alle imprese statunitensi di condividere con imprese cinesi tecnologie di punta e vieterebbe l'importazione di beni cinesi prodotti utilizzando proprietà intellettuale "rubata" agli Stati Uniti. Il Freedom Plan di Haley non entra nello specifico delle misure che verrebbero introdotte per fronteggiare la sfida economica cinese. In diversi interventi Haley ha indicato che adotterebbe una posizione molto dura nei confronti della Cina. Tuttavia, fin qui non ha proposto la panoplia di misure protezionistiche messe in campo da Trump o De Santis.

Trump punta sulle tariffe contro i produttori esteri

Una misura chiave del populismo nazionalista di Donald Trump, centrato sull'America First è l'introduzione di una tariffa generalizzata minima del 10% sulle importazioni per "tassare i produttori esteri" (e le multinazionali statunitensi che non producono sul suolo americano), in modo da favorire le imprese autoctone e "mantenere posti di lavoro e ricchezza negli Stati Uniti". Inoltre, a una tale tariffa potrebbero aggiungersene altre, più mirate, per esempio nel caso in cui un Paese svaluti la propria moneta nei confronti del dollaro. Le nuove entrate tariffarie consentirebbero di ridurre l'imposizione fiscale sulle famiglie e le imprese statunitensi (la cui tassazione verrebbe ridotta dall'attuale 21% al 15%). Né De Santis né Haley inseguono Trump in questa deriva protezionista e nei loro programmi economici non vi è menzione di un'introduzione di una tariffa generalizzata sulle importazioni.

La politica di bilancio: riduzione della spesa, con cautele diverse

Il Freedom Plan di Nikki Haley è centrato sulla necessità di consolidare il bilancio federale, riducendo deficit e debito pubblico. Poiché dal lato delle entrate le riduzioni d'imposta eccederebbero gli aumenti, l'aggiustamento di bilancio proposto da Haley ricade completamente sulla contrazione della spesa pubblica. Al proposito, Haley propone di imporre un limite alle spese federali legato alla loro percentuale nell'economia. Inoltre porrebbe il veto a qualsiasi bilancio che non riportasse la spesa federale a livelli pre-Covid e riformerebbe i programmi assistenziali (Social Security, Medicare), riducendo gradualmente alcuni benefici. I drastici tagli di spesa previsti dovrebbero produrre un rapido consolidamento fiscale (qui c'è però il rischio che un'eccessiva riduzione dei programmi federali, oltre a determinare un aumento delle diseguaglianze, provochi nel breve periodo una recessione, rallentando così tale consolidamento). Anche nei programmi di Trump e De Santis al netto le entrate fiscali si ridurrebbero, per cui nell'insieme su questo punto non vi sono differenze maggiori tra i tre candidati. Dal lato della spesa, però, sia Trump che De Santis sono molto più cauti di Haley. Certo, entrambi annunciano tagli drastici delle spese federali, ma restano vaghi nei dettagli (e nel contempo prevedono aumenti nelle spese per la difesa). Inoltre sia Trump che De Santis, consapevoli dei costi politici di riformare i programmi assistenziali, hanno escluso eventuali tagli. Sia nel caso del programma economico di Trump che quello di De Santis la riduzione delle entrate sarebbe più importante del taglio delle spese. Di conseguenza, solo una crescita particolarmente forte (entrambi promettono un tasso di crescita medio superiore al 3%) potrebbe portare a una stabilizzazione o una riduzione del debito pubblico statunitense.

Benzina sul fuoco delle tensioni internazionali

I programmi elettorali, si sa, non sono mai realizzati nella loro interezza. Sarebbe tuttavia sbagliato considerarli pura propaganda poiché, soprattutto in un Paese come gli Stati Uniti dove i presidenti dispongono di margini di manovra significativi, una buona parte di essi finisce per essere realizzata.

Una vittoria repubblicana nelle elezioni di novembre rimetterebbe in discussione il consenso sulla necessità di combattere il cambiamento climatico. Le misure che la nuova Amministrazione introdurrebbe (che sarebbe seguita da un certo numero di governi scettici sul cambiamento climatico) annullerebbero una gran parte degli sforzi che si stanno compiendo per combattere il riscaldamento globale. Nel caso di una vittoria di Haley o di De Santis questo sarebbe il maggior punto di frizione con l'Europa e molti Paesi del Terzo Mondo, che non potrebbero accettare passivamente politiche che aumentano esponenzialmente il rischio di disastri ambientali e producono danni irreversibili all'ambiente.

Nel caso di una vittoria di Trump, i fronti di scontro dal lato economico (e non solo) sarebbero molteplici. Oltre alle forti tensioni concernenti il cambiamento climatico è infatti probabile che si assista a un ritorno alle guerre commerciali su larga scala. Un'introduzione più o meno generalizzata di dazi sulle importazioni, il non rispetto delle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e la probabile richiesta agli alleati di seguire gli Stati Uniti nel decoupling economico con la Cina (che andrebbe ben oltre l'attuale de-risking) hanno il potenziale di aumentare la frammentazione e il disordine economico internazionale, che già attualmente hanno raggiunto livelli particolarmente preoccupanti.