ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

05/22/2024 | Press release | Distributed by Public on 05/22/2024 11:37

Spagna, Irlanda e Norvegia: sì a uno Stato di Palestina

Spagna, Norvegia e Irlanda riconosceranno ufficialmente lo stato di Palestina il prossimo 28 maggio. Una decisione storica e dall'alto valore simbolico annunciata congiuntamente dai premier dei tre paesi - il norvegese Jonas Gahr, lo spagnolo Pedro Sanchez e l'irlandese Simon Harris - che hanno definito il riconoscimento necessario "per favorire la pace e la sicurezza" nella regione. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu "mette in pericolo la soluzione dei due Stati" e non ha "un progetto di pace mentre continua a bombardare ospedali e scuole, a punire donne e bambini con la fame e il freddo (…). Non possiamo permetterlo - ha detto Sanchez - Abbiamo l'obbligo di agire. In Palestina come in Ucraina, senza doppi standard". "Questa - ha detto dal canto suo il taoiseach irlandese - è una dichiarazione di sostegno inequivocabile alla soluzione dei due Stati, l'unica via credibile verso la pace e la sicurezza per Israele, per la Palestina e per i loro popoli". Gli ha fatto eco il governo norvegese, il cui primo ministro Jonas Gahr Støre sottolineando che il riconoscimento è essenziale per salvaguardare "la soluzione dei due Stati che è nel miglior interesse di Israele". Non si è fatta attendere la risposta di Tel Aviv che, poco dopo l'annuncio, ha richiamato gli ambasciatori a Dublino, Madrid e Oslo per "consultazioni": il ministro degli Esteri Israel Katz ha denunciato che "Irlanda e Norvegia intendono inviare oggi un messaggio ai palestinesi e al mondo intero: che il terrorismo paga". L'annuncio arriva nel mezzo della guerra in corso a Gaza da più di sette mesi, scatenata dall'attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, e che ha causato finora oltre 35mila vittime palestinesi, e all'indomani della richiesta alla Corte penale Internazionale di mandati di arresto contro i capi di Hamas e i leader israeliani per crimini di guerra.

Europa in ordine sparso?

La decisione di rompere il fronte dell'irresolutezza europea non è inattesa. Tra i leader europei, Sanchez è stato il più critico delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza e si è più volte recato in Egitto, al valico di Rafah, per chiedere che il governo di Tel Aviv consentisse l'ingresso degli aiuti umanitari. Da mesi, inoltre, Madrid e Dublino chiedono alla Commissione di valutare la richiesta di sospendere gli accordi di associazione che l'Ue ha sottoscritto con lo Stato ebraico a causa della violazione degli impegni sui diritti umani. L'iniziativa - finalizzata a fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu a fronte dell'alto numero di vittime civili a Gaza - è rimasta lettera morta. Finora, infatti, né l'Alto commissario Josep Borrell né la presidente Ursula von Der Leyen hanno sottoposto la richiesta ai ministri degli Esteri dei 27 che dovrebbero approvarla con un voto all'unanimità , ma che - va detto - appaiono molto divisi sulla questione. E questo nonostante la relatrice Onu Francesca Albanese nei suoi interventi al Parlamento Europeo abbia esortato gli stati membri a sospendere le relazioni commerciali e imporre un embargo sulla vendita di armi a Israele a meno di voler correre il rischio di essere accusati di potenziale complicità in possibili atti di genocidio. Ancora una volta, la guerra ha posto la credibilità europea a dura prova: per mesi i leader dell'Unione hanno resistito alla richiesta di un cessate il fuoco immediato e hanno evitato di condannare le violazioni israeliane, mentre altri continuavano a fornire armi a Israele, nonostante gli impegni presi richiedano di fermare tali trasferimenti quando c'è il rischio di contribuire a violazioni del diritto umanitario internazionale. 

Il Continente è isolato?

La decisione di Irlanda, Norvegia e Spagna di riconoscere formalmente lo Stato di Palestina segue di qualche settimana il voto all'Assemblea Generale dell'Onu in cui la stragrande maggioranza dei paesi rappresentati ha votato a favore del pieno riconoscimento della Palestina come Stato membro. Al momento la Palestina è riconosciuta da quasi due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite, ovvero dalla maggior parte di quelli dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia e dell'Europa orientale. Al contrario, nessun paese del G7 risulta presente all'appello, anche se tutti intrattengono rapporti con i rappresentanti palestinesi. E sebbene il riconoscimento della Palestina sia maggioritario nel mondo, non lo è nell'Ue dove, solo nove su 27 i paesi che lo hanno sottoscritto. Tra questi Bulgaria, Cipro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria. Non è un caso che la maggior parte appartenga allo spazio post-sovietico, riflettendo un'eredità della Guerra Fredda in cui Israele era sospettosamente visto come il principale alleato del blocco occidentale in Medio Oriente. Dal 28 maggio, però, la lista europea si allungherà e altri potrebbero seguire. Tra questi Belgio, Slovenia e Malta, mentre la Francia ha escluso, per il momento, una mossa simile e altri, come l'Italia, evitano la questione.

Il vento sta cambiando?

Ad esprimersi contro la richiesta dei palestinesi di diventare il 194esimo membro delle Nazioni Unite all'Assemblea Generale è stato un piccolo drappello di 9 paesi guidato dagli Stati Uniti. Sebbene l'amministrazione di Joe Biden sostenga una soluzione a due Stati, insiste sul fatto che il riconoscimento di uno Stato palestinese debba avvenire attraverso negoziati diretti tra le parti. Un punto di vista che, oltre a scontrarsi contro quello della maggior parte del resto del mondo, non sembra tenere conto della realtà sul terreno dove le condizioni affinché uno Stato palestinese possa realizzarsi sono sempre più remote. Eppure proprio questo scenario, insieme ad altre forme di pressione diplomatica su Israele come le sanzioni su alcuni coloni in Cisgiordania  potrebbe aiutare a contrastare uno status quo insostenibile. Come ha spiegato in un'intervista a Haaretz poche ore dopo l'annuncio il ministro degli Esteri norvegese Espen Barth Eide, la decisione di riconoscere la Palestina come Stato è stata influenzata dalle politiche dell'attuale governo di estrema destra in Israele: "Il fatto che questo governo, guidato da Netanyahu, sia stato così chiaro sul fatto di non aver intenzione di negoziare con la parte palestinese, e abbia accettato e persino incoraggiato nuovi insediamenti illegali, tutto ciò ha contribuito alla decisione di riconoscimento. In un certo senso è una reazione a tutto questo". Così molti paesi sono giunti alla conclusione che stare a guardare aspettando che emerga un accordo non fosse un'opzione praticabile. "Presto, se non agiamo, [la soluzione dei due Stati] sarà completamente impossibile" spiega il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares "Sarà qualcosa di cui resterà traccia solo nei libri di storia."

Il commento

Di Chiara Lovotti, ISPI MENA Centre

La decisione di Irlanda, Norvegia e Spagna può potenzialmente avere un forte impatto, non tanto sull'andamento del conflitto sul campo, ma sulla più ampia, interminabile guerra fra israeliani e palestinesi. La situazione sul campo non potrà cambiare più di tanto per decisioni unilaterali prese a Dublino, Madrid e Oslo; tranne forse che queste aumenteranno la pressione internazionale sul governo Netanyahu, che pure alla pressione - internazionale e interna - ha dimostrato di saper resistere. Piuttosto, la decisione dei tre paesi europei segna un passo avanti, per quanto piccolo, verso la pace. Perché va nella direzione di una soluzione giusta, a lungo cercata ma mai raggiunta. Perché mostra un crescente impegno da parte della comunità internazionale a muovere verso la soluzione a due stati, concretamente, con l'obiettivo non di parlare di uno Stato palestinese, ma finalmente di riconoscerlo. Una decisione che potrebbe, magari, generare anche un effetto a catena, portando altri paesi a fare altrettanto.

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