ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

04/08/2024 | Press release | Distributed by Public on 04/08/2024 02:10

Rwanda 2024, a 30 anni dal genocidio

Da baratro della crudeltà umana a Paese quasi modello, il Rwanda è cambiato moltissimo, in questi ultimi trent'anni. Una generazione lo separa dal genocidio compiuto contro la comunità tutsi e di cui hanno fatto le spese anche molti hutu moderati, per un numero di vittime stimato in circa un milione. Nessuno, all'epoca, avrebbe potuto immaginare a che punto sarebbe arrivato oggi il "Paese delle mille colline". La success story del Rwanda non è però priva di controversie, legate in particolare alla figura del suo leader: l'imprescindibile Paul Kagame.

Una generazione dopo

Il Rwanda è spesso definito una "piccola Svizzera" africana, in virtù dell'ordine che vi regna e del miglioramento economico che caratterizza varie parti del territorio. Il paese offre eco-lodge di lusso nel maestoso parco nazionale dei vulcani Virunga, il posto migliore al mondo per approcciare i gorilla di montagna, resort di villeggiatura in riva al Lago Kivu, quartieri 'chic' nella capitale, Kigali, diventata anche una delle prime destinazioni per il turismo d'affari. La cupola luminosa del Convention Center è ormai un elemento distintivo dello skyline della capitale. Consideratala città più pulita d'Africa, Kigali è regolarmente citata come esempio in materia di sviluppo urbano: notevole per la manutenzione delle sue strade, i suoi viali ben segnalati, la sua pianificazione urbanistica controllata, l'atmosfera sicura, si distingue per l'assenza di confusione tipica di molte grandi città del continente africano. Città "smart", città "green", "innovation city", la capitale è costantemente elogiata nelle classifiche continentali.

L'economia cresce a ritmi sostenuti:secondo i dati della Banca Africana per lo sviluppo, la crescita del Pil è stata del 10,9% nel 2021 e dell'8,2% nel 2022 e, mossa dall'ambizione di raggiungere lo status di Paese a medio reddito entro il 2030 e ad alto reddito entro il 2050. Gli investimenti pubblici sono ancora oggi il principale fattore di crescita del prodotto interno lordo. Il 75% delle abitazioni è connesso alla rete elettrica - un dato notevole in Africa - e, secondo la Banca mondiale, ci sono buone probabilità di avvicinamento all'accesso universale entro pochi anni.

La popolazione, di circa 14 milioni di abitanti, è quasi raddoppiata nel giro di 20 anni ma rimane di un'età media di meno di 23 anni, e nel paese si parlano quattro lingue: il kinyarwanda, l'inglese, il francese e lo swahili. Il tasso di alfabetizzazione ha raggiunto l'84 per cento. Il Rwanda si distingue infine a livello globale per i suoi sforzi volti a promuovere l'uguaglianza di genere e l'emancipazione femminile, in particolare nella rappresentanza politica (seppur in un paese duramente autoritario): quasi due terzi dei seggi parlamentari e il 52% dei posti di governo sono occupati da donne.

I rwandesi della nuova generazione non hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori del genocidio, ma a solo una generazione di distanza, molti di loro vivono una connessione con i massacri in quanto figli o famigliari di vittime, dirette o indirette. L'origine etnica - la distinzione tra hutu e tutsi - non è più menzionata su alcun documento personale, segno di un taglio netto con il Rwanda del passato. Tuttavia, il ricordo del genocidio, la ricerca della giustizia, il dovere della memoria - kwibuka, ricordare, è un termine molto presente in questo periodo di rievocazioni nel paese - sono sempre presenti, anche nei programmi scolastici. Questa domenica 7 aprile - il giorno di inizio delle stragi di trent'anni fa - si terrà la consueta cerimonia al memoriale di Kigali, l'avvio di una settimana di lutto nazionale e di 100 giorni di commemorazione.

Trent'anni e un uomo forte

La storia degli ultimi 30 anni del Rwanda è strettamente connessa a quella di un uomo, il suo presidente Paul Kagame. Ufficialmente, Kagame è alla guida del Paese dal 22 aprile 2000, ma di fatto ne reggeva le sorti già da almeno sette anni, da quando, cioè, entrò a Kigali da liberatore, dopo aver fermato con le armi i responsabili del genocidio. Aveva allora solo 36 anni.

Leader visionario, amato e rispettato da molti, capace di intrattenere buoni rapporti con le grandi potenze mondiali ma, allo stesso tempo, di rivendicare un modello di sviluppo smarcato dal cappio degli aiuti e del debito, sempre ascoltato con interesse dalle platee internazionali, Kagame è anche una figura controversa. I suoi detrattori e alcune organizzazioni per i diritti umani lo definiscono leader profondamente autoritario, accusato tra le altre cose di fomentare i conflitti che da anni lacerano le regioni confinanti nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), o di aver trascurato, nel processo di riconciliazione, le vittime causate dal proprio movimento, il Fronte patriottico rwandese (Fpr).

Kagame sta terminando il suo terzo mandato ed è candidato alle prossime elezioni previste il prossimo 15 luglio. La sua vittoria, di fronte a un'opposizione quasi inesistente, è scontata. La Costituzione gli consente di rinnovare i suoi mandati fino al 2035. Chi lo ha sfidato in passato ha dovuto affrontare conseguenze anche gravi: un pugno di ferro che è l'altro lato della medaglia di alcuni dei successi del paese. "C'è libertà d'impresa qui in Rwanda, ma si sa che c'è un filo rosso da non superare", mi diceva, a Kigali qualche anno fa, un collega di una radio privata.

Un esempio che ha avuto particolare risonanza è stato quello dell'ex albergatore e attivista politico Paul Rusesabagina, la cui storia ispirò il film Hotel Rwanda: condannato nel settembre 2021 a 25 anni di carcere per i suoi legami con un gruppo avverso al presidente, è stato rilasciato a marzo 2023 dopo mesi di negoziati.

Ma se i critici sostengono che l'aspetto principale di questa nuova "Rwandan way of life" sia di fatto il culto di una rigorosa disciplina promosso da Kagame, un uomo che definiscono intransigente, privo di empatia e per il quale i risultati giustificano qualunque mezzo, quello che traspare parlando con la gente comune sembra piuttosto un sentimento di identificazione con il presidente.

Relazioni con i vicini e con il resto del mondo

Durante la campagna elettorale nel Congo-RDC, a fine 2023, il presidente Félix Tshisekedi aveva minacciato di dichiarare apertamente guerra al Rwanda a causa delle ingerenze in territorio congolese, in particolare nelle regioni del Kivu. L'instabilità nel nord-est del paese genera tensioni che riverberano sull'intera area dei Grandi Laghi, e Kigali è regolarmente, sin da subito dopo il genocidio, accusata di avere un ruolo nella destabilizzazione dell'enorme vicino. I motivi sono vari: accesso a minerali e terre fertili, per un paese che ha una delle densità di popolazione più elevate al mondo: il Rwanda ha una delle densità di popolazione più elevate al mondo. A livello regionale, il Burundi, pur mantenendo una posizione defilata, è tendenzialmente alleato di Kinshasa. Con l'Uganda, dove Kagame è cresciuto fino al suo rientro in Rwanda, Kigali sta cercando di recuperare i rapporti dopo un periodo burrascoso legato ad accuse reciproche, tra Kagame e il presidente Yoweri Museveni, di spionaggio e destabilizzazione tramite il sostegno a gruppi ribelli. La Tanzania è invece un partner chiave del Rwanda: circa l'80% delle importazioni rwandesi transitano dal porto di Dar Es salaam.

Sul piano extra africano, proprio l'eredità del genocidio rende complicate le relazioni con Parigi. Kagame ha sempre accusato la Francia di sostegno al regime hutu genocidario. In occasione di questo trentennale, Emmanuel Macron sta tentando un nuovo passo verso la riconciliazione: in un videomessaggio diffuso domenica, giornata di inizio delle commemorazioni, il presidente francese ha riconosciuto che, all'epoca dei fatti, la Francia e i suoi alleati avrebbero potuto fermare il genocidio ruandese ma non hanno avuto la volontà di farlo.

Con gli Stati Uniti Kigali ha invece un partenariato strategico, che però non impedisce regolari critiche da parte americana al coinvolgimento nella vicina RDC, alle accuse di ricorso a bambini-soldato, o alle carenze democratiche del regime. Buoni anche i rapporti con il Regno Unito: pur non essendo una ex colonia britannica, l'inglese è stato aggiunto alle altre lingue ufficiali e nel 2009 il Rwanda è stato ammesso nel Commonwealth. Il rapporto tra Kigali e Londra è stato molto seguito dai media, in tempi recenti, per un controverso progetto di accordo per il trasferimento di migranti africani (non necessariamente rwandesi) dalla Gran Bretagna al Rwanda. La Cina è uno dei principali partner commerciali del Rwanda, dove ha investito in vari settori: infrastrutture, produzione industriale, agricoltura, commercio media. Infine, anche Mosca vanta un buon partenariato con Kigali, in settori come l'istruzione, l'energia (in prospettiva teoricamente anche nucleare, con l'accordo siglato nel 2019 tra Kigali e la compagnia russa Rosatom), la sanità e la sicurezza. Prima del 2020, il Rwanda importava quantità significative di cereali e fertilizzanti dalla Russia.

È stata una sfida immensa, dopo il genocidio, riportare il popolo rwandese sulle vie della stabilità e dello sviluppo. Ma se la pace regna tra le "mille colline", le ombre sul percorso non sono poche.